Prima dell’Irap via le spese inutili

Il dibattito politico ha le sue ragioni, ma l'economia ne ha molte di più. E occorre che i politici che hanno la responsabilità delle scelte ascoltino la presidente di Confindustria. Essa chiede una riduzione delle imposte per le imprese già da gennaio, non in seguito. Ciò occorre per consentire loro di riprendere la crescita. Il peggio è passato, ma le imprese per cavalcare la ripresa devono investire. I loro investimenti sono caduti del 12%. Il malato, dopo la convalescenza, si riprende ma ha perso troppi chili. Ha bisogno di non continuare a fare il donatore di sangue a favore del fisco.
La Marcegaglia cita l'esempio della Germania che riduce le imposte e diventa più competitiva. Anche la Francia, sostiene la Marcegaglia, si sta muovendo in questa direzione. Si potrebbe obbiettare che la Germania può fare una riduzione di imposte senza ridurre le spese in quanto ha un debito pubblico di poco superiore al 60% del Pil, poco più della metà del nostro. Essa, comunque, ha un deficit del 4% del Pil, mentre noi siamo già al 5%. Si può aggiungere che in Gran Bretagna si discute non di ridurre le imposte, ma di aumentarle. E analogo è il discorso che si dovrebbe fare in Spagna. Entrambi questi Paesi hanno un grosso deficit di bilancio pubblico. La Gran Bretagna arriva al 12% del Pil. E il suo debito che era attorno al 50% del Pil sta salendo al 100% e fra poco lo supererà. In Spagna il deficit è salito al 9% e il debito sta arrivando verso il 100%. Essa, in senso relativo, sta un po' meglio della Gran Bretagna, ma peggio di noi. E sta peggio di tutti per la disoccupazione che ha superato il 16% della forza lavoro, il doppio abbondante rispetto a noi.
La Germania può permettersi di ridurre le imposte senza tagliare le spese anche perché prima della crisi le sue esportazioni erano in avanzo del 5% sulle importazioni. Cioè i tedeschi producevano più di quel che consumavano. La Spagna aveva un buco della bilancia corrente con l'estero dell’8,7% dunque consumava molto più di quanto produceva. La Gran Bretagna aveva un deficit del 3,3% delle esportazioni sulle importazioni di beni e servizi. E ora è messa peggio della Spagna perché una parte del suo export consisteva di servizi finanziari per l'estero. E questi sono crollati. Ora il Pil italiano ha superato quello inglese.
Tiriamo le somme di questa carrellata di dati. Esse ci dicono che, rispetto ai quattro altri grandi Stati europei, noi stiamo nel mezzo, fra la Germania che può ridurre le imposte senza ridurre le spese e Spagna e Gran Bretagna che dovrebbero aumentarle e non possono tagliare le spese pubbliche in quanto queste servono a evitare il peggio, che da loro non è ancora passato. Dal fatto che «stiamo nel mezzo» per altro non dobbiamo dedurre che possiamo «non fare nulla» e rinviare al futuro il taglio dell'Irap sul costo del lavoro e sul costo degli interessi. Infatti così perderemmo l'autobus della crescita. Inoltre se rimanessimo inerti non coglieremmo i frutti dell’azione del governo che ha saputo frenare la crisi con una saggia politica di ammortizzatori sociali e di garanzia del credito bancario efficace e non onerosa, né invasiva, entro una linea di bilancio prudente.
Però per cogliere tali frutti non possiamo contraddire la linea prudente che li ha generati e fare tagli fiscali senza copertura. Se guardiamo la nostra bilancia corrente con l'estero prima della crisi, notiamo che, nonostante il costo del petrolio e la nostra povertà di materie prime, le nostre esportazioni hanno quasi pareggiato le nostre importazioni. Ciò avviene anche ora nonostante la caduta della domanda del mercato internazionale. Ma abbiamo un deficit della bilancia corrente con l'estero del 2,5 del Pil, dovuto al pagamento di interessi passivi sull'estero. In parte si tratta del trucco di quei nostri «ricchi» che tengono capitali all'estero e li prestano alle imprese in Italia. Ma in larga misura questo flusso di interessi passivi che va all'estero è composto di interessi sul nostro debito pubblico posseduto da tedeschi, asiatici, arabi eccetera.
Dunque, per non creare oneri crescenti alle future generazioni, è nostro dovere aumentare il prodotto nazionale senza creare nuovo debito pubblico e, quindi, rafforzare le imprese con tagli fiscali finanziati con riduzione delle spese.

Come dice la Marcegalia ce ne sono tante che si potrebbero sfoltire. Occorre mettersi attorno al tavolo non per discutere di questioni del potere dopo Berlusconi ma per aiutarlo a trovare la copertura alle riduzioni fiscali virtuose.

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