C'è nervosismo sui mercati europei, e non è solo colpa di Cipro. Anche l'Italia è tornata ad essere un elemento di tensione: si temono nuovi peggioramenti di rating da parte di Moody's, che tiene i riflettori puntati sugli incerti sviluppi politici nella penisola. Delude anche l'asta dei Btp - in particolare i quinquennali, dove il Tesoro non è riuscito a collocare il massimo previsto (4 miliardi), nonostante il rialzo dei rendimenti - e si impenna bruscamente lo spread, tornato a 351 punti. Così, le Borse del Vecchio Continente chiudono tutte in negativo (Milano -0,92%, Parigi -0,99%, Francoforte -1,15%, Atene -3,99%): l'euro scivola ai minimi dallo scorso novembre, sotto 1,28 dollari.
E si allarga la spaccatura nei vertici dell'eurozona provocata dal salvataggio di Cipro: mentre Angela Merkel difende il piano che riscrive da zero il sistema bancario dell'isola, l'ex-presidente dell'Eurogruppo Juncker attacca il suo successore Dijsselbloem, accusandolo di aver avviato un discorso pericoloso che lega banche, pil e rischio Paese. A dire che il «modello Cipro», dove a pagare per le banche sono azionisti e grandi correntisti, è unico,e non sarà replicato come invece suggeriva Dijsselbloem, è anche la Ue: in un documento riservato - ottenuto da Bloomberg - , si precisa che «il programma cipriota non è un modello, ma gli interventi sono stati fatti su misura della situazione particolarmente eccezionale di Cipro».
Sull'isola, intanto, riaprono le banche, ma con pesanti vincoli alle possibilità di ritirare fondi,compreso il divieto di usare assegni e un prelievo massimo di 300 euro al giorno dai bancomat, per evitare la fuga di capitali: e salta la prima testa, quella di Yannis Kipri, amministratore delegato della Banca di Cipro, il primo istituto di credito del Paese, pesantemente coinvolto nel piano di ristrutturazione imposto dall'Eurogruppo in cambio dell'aiuto europeo. Secondo fonti di Nicosia, il licenziamento del manager è stato chiesto espressamente dalla Troika.
Che peraltro potrebbe essere nuovamente chiamata in soccorso: questa volta per la Slovenia, a cui i mercati guardano con preoccupazione, temendo che sarà il sesto Paese dell'eurozona a chiedere l'aiuto internazionale. Il sistema bancario del Paese è fortemente esposto, anche se la neo premier, Alenka Bratusek, ha ribadito che il Paese ce la farà da solo: il paragone con Cipro «è inadatto e fuori luogo».
In effetti l'economia slovena, nonostante le difficoltà, è basata sulla produzione industriale e le esportazioni, mentre il debito pubblico non è enorme (54% del Pil). Ma i bilanci delle maggiori banche, in maggioranza di proprietà dello Stato, scontano circa 7 miliardi di euro di prestiti ritenuti inesigibili. Inoltre, secondo una recente stima degli ispettori del Fondo monetario internazionale quest'anno i tre più rilevanti istituti bancari avranno bisogno di un miliardo per rispettare i criteri dell'adeguatezza del capitale fissati dalle norme europee. Lo Stato, invece, nel 2013 avrà bisogno di 3 miliardi di euro per finanziare il deficit, senza la somma stimata per il risanamento delle banche.
A giudizio degli analisti il nuovo governo di centro-sinistra, insediatosi la settimana scorsa, ha un massimo di due mesi per trovare una soluzione e decidere se istituire o meno una «bad bank» che si addosserebbe i prestiti tossici delle banche, che, ripulite in questo modo, potranno poi essere ricapitalizzate e forse anche privatizzate.
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