Roma - È una vita che si sente dire: ora bisogna proprio cambiare. Ma poi non succede nulla. Uno pensa che forse non c'è l'accordo politico; che destra e sinistra fanno a cazzotti sul tema. Balle. Tutti la pensano allo stesso modo: occorre depenalizzare il reato di diffamazione. Tutti lo chiedono ma nessuno lo fa. Sulla carta, le buone intenzioni sono bipartisan. Due le proposte di legge che, soltanto in questa legislatura, giacciono nei polverosi archivi di Montecitorio. Una è la numero 881, presentata dai deputati del Pdl Enrico Costa e Gaetano Pecorella e che vuole modificare la legge sulla stampa (8 febbraio 1948, n°47), il codice penale e quello di procedura penale. È stata presentata l'8 maggio 2008. L'altra è la numero 4714, e porta la firma del deputato Francantonio Genovese del Pd. Titolo: «Modifica dell'articolo 57 del codice penale, in materia di reati commessi con il mezzo della stampa». Le proposte sono praticamente uguali. Come uguale è l'esito: nullo.
Pecorella e Costa già mettevano il dito nella piaga riconoscendo che «sono anni che si chiede al Parlamento di superare la rigida disciplina che espone il giornalista, spesso in buona fede, ad elevati rischi che possono interferire con la libertà di espressione e di critica e con il diritto di cronaca». Ma c'è un ma: «Tuttavia non s'è ancora riusciti a dare risposta adeguata a tale legittima richiesta». La richiesta del testo Pecorella-Costa eliminava le pene detentive per i reati di diffamazione a mezzo stampa. E quand'anche il giornalista fosse stato recidivo, la proposta prevedeva, come pena accessoria, l'interdizione temporanea dall'esercizio della professione per un massimo di sei mesi. Ossia: via la penna per mezzo anno, non certo mandarlo dietro le sbarre. Ma la proposta non è mai stata calendarizzata perché il Pd si è messo di traverso nel 2010 sul caso intercettazioni e l'obbligo di rettifica dei siti internet. Risultato: nulla di fatto e rissa da pollaio.
Peccato che nel 2011 il piddino Genovese, presenti la sua proposta e dica: «Al direttore responsabile incombe l'obbligo giuridico di rendersi conto di tutto quanto il giornale pubblica...». Però la pena prevista dalla legge è «davvero abnorme per due ordini di motivi. In primo luogo punire con la pena detentiva il direttore di un giornale o, per meglio dire, minacciarne l'applicazione, appare una scelta anacronistica e di scarsa efficacia sul piano della prevenzione». Non solo: «Tale forma di responsabilità si applica solo ai direttori dei giornali... escludendo l'applicazione nel caso in cui la diffamazione, o un altro reato, sia commesso da un giornale online». Ergo, cominciamo a «trasformare in multa l'eventuale pena detentiva, nell'auspicio che ciò possa fare da apripista a una più ampia riforma della legge sulla stampa».
Peccato che tutte queste belle intenzioni siano rimaste lettera morta. Intanto in Europa, l'europarlamentare Lara Comi annuncia che domani mattina coinvolgerà le istituzioni europee sull'affaire Sallusti.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.