Non c’era bisogno dell’intervista inginocchiata di Marco Travaglio sul Fatto quotidiano per scoprire che quell’anguilla di Beppe Grillo è un signor reticente. Vuoi sapere con quale sistema eleggerebbe il capo dello Stato o il presidente del Consiglio? Non si sa. Oppure quali sono i suoi rapporti con il nuovo sindaco di Parma, il grillino che (assieme ai colleghi a cinque stelle inopinatamente catapultati a guidare la città) ha dovuto frequentare un corso accelerato per imparare come si amministra un ente pubblico? Grillo sfugge. E se un elettore gradisse capire come mai un movimento politico che si avvia (così almeno si dice) a seppellire i vecchi partiti non ha nemmeno uno straccio di statuto?
Repubblica occupa Bologna mostrando muscoli e cervello. La vera alternativa ai partiti da rottamare sarebbero loro, gli intellettuali illuminati che sanno sempre tutto ma non hanno mai vinto un’elezione, non quegli improvvisatori intruppati dall’arruffapopoli genovese. Hanno gioco facile. Quando a Grillo hai tolto i «vaffa», le sparate contro l’euro, la nazionalizzazione delle banche e le vacanze in Sardegna, che cosa resta? Già, qual è l’idea di bene comune del comico genovese? Come mai egli si riempie la bocca di internet come strumento di dialogo diretto con i cittadini, e non risponde mai a nessuno, né su Twitter, né su Facebook, né sul blog? Il suo verbo cade dall’alto, come tavole della legge. Che differenza ci sarebbe con l’aborrita propaganda televisiva? Dal «partito di plastica» al «partito virtuale».
L’immenso oceano del web, quello dove Grillo pesca la sua legittimazione, è anche pieno di interrogativi sulle sue idee, o non-idee. Molti lo paragonano a Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook che faceva faville finché restava soltanto sul web, mentre ha fatto crac appena toccata una realtà un po’ meno virtuale come la Borsa. Ci si chiede se la democrazia diretta attraverso internet, la cosiddetta «iperdemocrazia» (che peraltro non è applicata in nessun angolo del mondo), non sia un modello pericoloso: chi prenderebbe decisioni impopolari? E chi decide quali sono gli ideali, i principi non negoziabili con cui presentarsi al voto? In base a quale articolo del non-statuto Grillo autorizza o revoca l’uso del simbolo a cinque stelle? Quale articolo rende gli altri articoli indiscutibili come il Corano? E come mai al Cinque stelle possono iscriversi soltanto cittadini italiani, roba che nemmeno la Lega e la Destra?
Si vuol sapere come il guru dell’antipolitica vorrebbe sostituire i partiti dopo averli sabotati: davvero basterebbe riempire il Parlamento di liste civiche, di movimenti popolari come i No Tav o i referendari, o semplicemente di gente magari perbenino come il nuovo sindaco di Parma che non sa neppure come si convoca un consiglio comunale? Su Pizzarotti & C., Grillo dovrebbe fare quella chiarezza la cui mancanza rimprovera agli altri. Parma è la prima grande città governata dai pentastellati e molti elettori la considerano il test per verificare l’abilità amministrativa del movimento. È vero che Pizzarotti ha chiesto il via libera di Casaleggio (il burattinaio di Grillo) prima di fare il nome di Tavolazzi come consulente del Comune? Chi comanda davvero nel firmamento delle Cinque stelle? Quali sono i rapporti tra Beppe e Casaleggio?
Ci sono temi della vita sociale e politica sui quali Grillo non si è mai azzardato a esporsi. Le unioni tra omosessuali, per esempio, oppure le ambiguità sulle coppie di fatto e sulla cittadinanza ai figli degli immigrati.
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