diEra una notte fredda e piovosa quella del 27 gennaio del 1976 quando delle persone fecero irruzione nella piccola caserma di Alcamo Marina, forzando con la fiamma ossidrica la porta di ingresso e trucidando due giovani carabinieri, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta che stavano lì riposando. Di quella strage se ne accorse e diede l'allarme la scorta dell'Onorevole Giorgio Almirante che, la mattina del 28 gennaio, transitando accanto alla caserma si accorse della porta aperta e della serratura bruciacchiata. Fin dall'inizio diverse furono le piste che gli investigatori seguirono.
Infatti la piccola città di Alcamo Marina, tre chilometri di meravigliose spiagge, posta tra le province di Trapani e Palermo era famosa per gli sbarchi dei contrabbandieri di sigarette e di droga. Le ipotesi iniziali furono dapprima legate a fatti di malavita, poi al terrorismo rosso e poi a un omicidio di stampo mafioso. La pista mafiosa prese piede perché l'anno prima erano stati uccisi, a un mese di distanza l'uno dall'altro, sia l'assessore ai lavori pubblici di Alcamo, ed ex sindaco Dc, Francesco Paolo Guarrasi che il consigliere comunale Antonio Piscitello. Le indagini iniziali sull'omicidio dei due giovani carabinieri furono condotte dall'allora capitano dei Carabinieri Giuseppe Russo, uomo di fiducia del Generale Dalla Chiesa e medaglia d'oro al valor civile, anche lui ucciso il 20 agosto del 1977 a Ficuzza, frazione di Corleone per mano di Cosa nostra.
Pochi giorni dopo, il 12 febbraio Giuseppe Gulotta, diciottenne muratore che viveva ad Alcamo con i genitori, venne prelevato dalla sua abitazione e portato in caserma per essere a lungo interrogato. Nelle ore successive Gulotta venne a scoprire che Giuseppe Vesco, arrestato e reo confesso dell'omicidio, lo accusava di essere suo complice. Gulotta fu costretto a confermare di essere complice assieme ad altri due giovani, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli. Calci, pugni, sputi e perfino torture ai genitali fecero sì che il giovane muratore confessò l'inconfessabile omicidio; svenne Gulotta quella notte per il dolore delle torture e quando rinvenne disse: «Cosa devo confessare per farvi smettere?». Il giorno seguente, davanti ai pm, Gulotta ritrattò tutto ma senza ottenere attenzione: era il 13 febbraio del 1976 ed il giovane muratore iniziò così il suo calvario nelle patrie galere. Per due anni rimase in cella in attesa di giudizio; due anni in cui anche il suo accusatore Giuseppe Vesco cercò di scagionare i tre ragazzi ma fu trovato impiccato in carcere (a Vesco mancava una mano, circostanza che poneva dubbi nella possibilità di impiccarsi da solo). In quei due anni Gulotta cercò di correggere quelle dichiarazioni, ma nel 1990 fu condannato all'ergastolo. Prima della sentenza si era trasferito a Certaldo, lì aveva conosciuto Michela, che ancora oggi gli è accanto, ed aveva avuto un figlio; un figlio che, come dice «non ha mai avuto la possibilità di crescere».
La svolta per la vita del muratore siciliano fu dettata dalle dichiarazioni dell'ex brigadiere Renato Olino, colto da un rimorso inaudito, che quei ragazzi con l'eccidio non c'entravano nulla e che le loro confessioni furono estorte con violenze terribili. Così il 22 luglio 2010, dopo 22 anni di detenzione, Gulotta uscì dal carcere in libertà vigilata, mentre Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo rimasero latitanti in Brasile. Ma la vita di Giuseppe Gulotta ha una data ricorrente: il 13 febbraio. Fu infatti il 13 febbraio del 1976 che il giovane muratore venne arrestato ad Alcamo ma è anche il 13 febbraio del 2012 che Gulotta fu prosciolto definitivamente dalla Corte d'appello di Reggio Calabria per non aver commesso il fatto. Gulotta non ha astio per nessuno, ma ha detto in una intervista: «Troppo spesso la giustizia cerca un colpevole e non il colpevole».
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