Il governo Monti naufraga pure sulle tasse alle barche

La nuova imposta di possesso sulle unità da diporto si è rivelata un fallimento: appena 24 milioni di gettito. E il danno economico per il settore è di un miliardo

Un momento del Myba Charter Show
Un momento del Myba Charter Show

Anche sui natanti il professor Monti e i suoi tecnici incassano un ennesimo flop. Non molti ricordano che il governo, tra le tante tasse che in questi 14 mesi hanno tartassato gli italiani, ha introdotto anche un'imposta di possesso sulle unità di diporto, le barche per essere chiari.
Nel 2012 erano state previste entrate pari a 155 milioni di euro. Quanto ha incassato lo Stato a tutt'oggi? Circa 24 milioni di euro. Una cifra tutto considerato risibile se confrontata con gli effetti che la tassa ha provocato, e ancora di più provocherà sull'economia del mare, con un impatto negativo anche in termini di finanza pubblica.
Da un lato infatti c'è la minore o la maggiore entrata rispetto alle stime iniziali e, di conseguenza, la necessità di rimodulare le eventuali coperture sulle spese che gli stessi o successivi decreti introducono nel bilancio dello Stato. Sovrastimare le entrate, di per sé, produce un primo effetto: la rimodulazione in aumento della tassa o l'introduzione di nuove forme di tassazione per garantire le entrate che non si sono realizzate. È lo stesso ministero dell'Economia che ha messo in luce il fattaccio: per il solo anno 2012 mancano all'appello circa 130 milioni di euro. Per recuperarli occorrerà una manovra nell'anno in corso.
In secondo luogo occorre tener conto del cosiddetto «effetto annuncio» sui proprietari di barche. Il solo far filtrare l'ipotesi di una nuova tassa sulle imbarcazioni spinge, come in effetti ha già spinto, i proprietari di barche e/o di posti barca a comportamenti conservativi. Non è un caso se le prime reazioni parlano di «fuga delle barche» verso i porti della Corsica, della costa monegasca o di quella croata. Grecia e Turchia, Spagna e Slovenia si preparano ad accogliere i «diportisti». Alcuni osservatori hanno parlato del 20% delle imbarcazioni. Altri di circa 30.000 natanti. Difficile dirlo ma appare ragionevole supporre che almeno il 10%-12% delle barche con lunghezza superiore ai 12 metri si sposti verso coste meno «aggressive». Si tratterebbe allora di circa 2.000-2.500 imbarcazioni che delocalizzano la loro base principale.
Le conseguenze sono evidenti. Una barca che si sposta magari non sfugge alla tassazione ma certamente «esporta» una fetta di economia e di fatto riduce il suo contributo alla fiscalità generale. Il personale e i servizi di bordo o di terra sono assicurati in terra straniera e in terra straniera sono versate le tasse.
Basti pensare al rifornimento di carburante e al fatto che il carico fiscale su benzina e gasolio pesa circa il 60% del prezzo pagato. Se come è naturale si aggiungono le spese alimentari, lo shopping, i servizi di manutenzione... Secondo una ricerca della Fondazione Censis relativamente al 2009 il settore legato alle imbarcazioni da diporto genera un valore della produzione vicino ai 3,4 miliardi di euro.
L'Osservatorio Nautico Nazionale stima poi che la spesa dei diportisti e le spese relative a Charter, locazione e servizi legati alla nautica da diporto sono di oltre 5 miliardi di euro l'anno. Per un totale vicino ai 9 miliardi di euro all'anno.
Alcuni studi presentati dopo (o meglio durante) l'introduzione della tassa parlavano di circa 2 miliardi di euro di contrazione del settore della nautica da diporto e dell'economia del mare. Stima forse eccessiva ma appare al contrario prudente stimare in circa 1 miliardo di euro la perdita per l'economia del mare dovuta all'effetto annuncio e in circa 140-160 milioni di minor gettito.
In terzo luogo l'effetto sui proprietari e sui costruttori di posti barca o di porti turistici. Si tratta di un segmento dell'economia reale non banale, di investimenti significativi per attrarre nuovi e qualificati flussi turistici verso le nostre città che si affacciano sul mare. Deprimerne il valore interrompe processi virtuosi e, di nuovo, riduce le entrate. Inoltre si possono/devono considerare gli effetti sulla cantieristica e più in generale su tutto il settore delle costruzioni e riparazioni di imbarcazioni. Dato il forte rallentamento, dovuto ad altri fattori, dei processi di valorizzazione dei porti esistenti o di costruzione di nuovi porti, questo effetto pur significativo assume carattere strutturale e l'effetto della tassa appare marginale, pur essendo presente.


L'introduzione della tassa ha permesso fin qui di «perdere» circa 130 milioni per minori entrate (già usati per nuove spese) rispetto alla stima iniziale, di penalizzare l'economia di almeno 1 miliardo di euro di prodotto lordo, di contrarre le entrate fiscali di ulteriori circa 150 milioni di euro all'anno. Il tutto per incassarne oggi la risibile cifra di 24 milioni di euro. Complimenti al professor Monti, e complimenti all'incompetenza dei suoi tecnici.

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