I cattolici in politica «contano» e sono «tutt'altro che irrilevanti». Ne è convinto il cardinale Camillo Ruini, per oltre quindici anni alla guida della Conferenza episcopale italiana, che non smette di ripetere uno slogan a lui tanto caro: «Meglio contestati che irrilevanti».
Dai cattolici, per il cardinale di Sassuolo, arriva un contributo fondamentale non solo nelle questioni più strettamente legislative e politiche ma soprattutto su quelle etiche e morali, sulle quali la Chiesa tanto si spende. Proprio l'impegno dei cattolici su questo fronte è stato decisivo per «salvare» l'Italia da una deriva che ha invece pervaso la maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale.
Eminenza, che contributo può portare il cattolico oggi in politica?
«Il cristiano non può pensare di trasmettere la sua testimonianza semplicemente trovando il consenso. Può trovarlo, ma può anche trovare dissenso e polemica. Ma questo non deve distogliere dalla testimonianza, in tutte le sedi: politiche, culturali, economiche, istituzionali. I cattolici in politica ci sono anche oggi e sono tutt'altro che irrilevanti, e non sono soltanto i membri di una certa organizzazione, ma coloro che condividono e hanno il coraggio di sostenere pubblicamente certi contenuti. Non è vero che non contano: se non avessero contato l'evoluzione della legislazione italiana in questi ultimi vent'anni dalla fine della Dc sarebbe stata molto diversa...».
Un ruolo decisivo anche sulle grandi questioni etiche...
«C'è un'eccezione dell'Italia nel contesto dell'Europa occidentale dove purtroppo, in molti Paesi, si assiste a una deriva sempre più accentuata nelle grandi questioni etiche e antropologiche. Una deriva che, in Italia, certamente non si è avuta, almeno non di quella portata. E questo anche grazie al contributo dei cattolici impegnati in politica».
Come valuta l'attuale situazione politica ed economica che vive il nostro Paese?
«Sono molto preoccupato».
Parlando di Joseph Ratzinger e Jorge Bergoglio, come risponde a quegli intellettuali cattolici che sostengono ci sia una frattura fra la Chiesa di Benedetto XVI e quella di Francesco?
«Sinceramente non vedo nessuna presunta frattura. Ogni pontefice ha una propria personalità, ognuno è autenticamente se stesso. Papa Francesco si pone certamente come una grande novità che nessuno vuole negare, sarebbe stolto e miope farlo. Bergoglio ha dato un grande apporto alla Chiesa fin da quando è apparso dalla Loggia delle Benedizioni, portando una grande novità che viene dalla sua personale e profonda esperienza di vita e dalla sua visione pastorale della realtà. Accanto all'originalità di ciascuno, però, c'è una profonda continuità fra i due Pontefici che ha avuto una semplificazione nel fatto che l'Enciclica sulla Fede è stata elaborata nella sostanza da Papa Benedetto XVI e fatta propria da Papa Francesco».
Quale è l'elemento che più l'ha colpita di questi 100 giorni di Pontificato di Francesco?
«Come questo Papa sia riuscito a entrare nel cuore della gente, non attraverso atti demagogici o pubblicitari, ma semplicemente aprendo il suo cuore con semplicità, immediatezza, con il suo amore per il prossimo e la sua sollecitudine concreta e anche attraverso il messaggio e la forza spirituale che trasmette».
Quale eredità lascia Benedetto XVI?
«Il Papa emerito lascia soprattutto una grande eredità teologico-magisteriale. Ratzinger è stato uno dei massimi teologi cattolici del XX secolo. Ma c'è anche un'eredità spirituale trasmessa da un grande uomo di preghiera e che deriva da un forte amore per la liturgia. La sua eredità non si sta estinguendo, ma continua a portare frutti nella Chiesa e nel mondo intero».
Quale sarà secondo lei il contributo che porterà Papa Francesco all'Enciclica sulla Fede?
«Credo che mostrerà tutto il valore
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