«Gli immigrati che vanno in carcere ledono il patto con lo Stato dove hanno deciso di andare a vivere. Almeno il vitto e l'alloggio dei detenuti immigrati facciamolo pagare agli Stati di provenienza».
Poche parole sono bastate ad Angelino Alfano, parlando al Meeting di Cl, per rimettere l'emergenza migranti al centro dell'agenda politica. E provocare, come sempre quando si parla di questo tema, una bufera di polemiche. Di idea «assolutamente strampalata, anche perché difficilmente praticabile», parla Livia Turco, presidente del Forum immigrazione del Pd. Sulla stessa linea Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci: «Mi sembra una delle tante trovate elettorali della destra». Voce fuori dal coro quella di Giovanni Battista Durante, segretario aggiunto del Sappe. «I detenuti stranieri - dice - dovrebbero scontare la pena nel loro Paese. L'ideale sarebbe espellerli al momento dell'arresto». Ma l'offensiva del solito buonismo non ferma Alfano: «Non può essere dimenticato che lo sforzo umanitario può porre un problema di sicurezza», ha ribadito il ministro degli Interni.
Ovvie le contestazioni, in un periodo in cui il clima spinge perfino la Cassazione, nel 2010, ad affermare che le «disagiate condizioni di vita» sono sufficienti a un immigrato per vedersi riconoscere le attenuanti generiche.
Sarà stato per questo, allora, che nel luglio del 2012 tre tunisini hanno ottenuto le attenuanti e altri quattro sono stati condannati per danneggiamento (ma non per devastazione e saccheggio) dal Tribunale di Milano per i disordini al Cie di via Corelli. A dicembre un altro Tribunale, quello di Crotone, è arrivato a stabilire che equivale a legittima difesa il comportamento di chi, detenuto in un centro di identificazione, ricorra alla violenza per protestare contro una limitazione di libertà da lui ritenuta ingiusta: in tre, ristretti al Cie di Isola Capo Rizzuto, erano saliti sul tetto resistendo per giorni agli agenti a colpi di piastrelle, mattoni e lavabo. Eppure, secondo il giudice, «la protesta fu posta in essere nell'unico modo che poteva essere efficace». Come può sorprendere che pochi giorni fa rivolta e devastazioni si siano ripetute nello stesso Cie?
Nello stesso filone di giustizia dalla manica larga verso gli stranieri si inserisce pure il caso di Remi Nikolic, il giovane rom che investì e uccise deliberatamente a Milano l'agente di polizia locale Niccolò Savarino: la Procura aveva chiesto 26 anni di reclusione. Il Tribunale dei minori gliene ha inflitti 15, perché rom «cresciuto in un contesto caratterizzato dalla commissione di illeciti da parte degli adulti di riferimento e dall'assenza di scolarizzazione».
E pensare che a parti invertite, quando nel 2006 il Tribunale di Buckeburg (in Germania) condannò a una pena minore del previsto per il reato di violenza carnale un trentenne sardo con l'attenuante «delle particolari impronte culturali ed etniche dell'imputato», le istituzioni italiche insorsero, accusando di nostalgie lombrosiane i giudici tedeschi. Non s'erano accorte che a casa loro Lombroso vive ancora e premia, invece di condannare, chi delinque col passaporto straniero.
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