Roma - Con i tempi frenetici della scena politica contemporanea bisogna fare in fretta a rispondere alle sfide. Prendiamo l’Italia dei valori: l’assemblea generale di dicembre invece che rifondare il partito rischia di fare da esecutore testamentario di un fu soggetto politico. Perché ad Antonio Di Pietro l’Italia dei valori è esplosa in mano nel giro di un anno. Due se prendiamo come punto di partenza l’addio di Domenico Scilipoti e Antonio Razzi avvenuto a fine 2010, l’anno che aveva visto la massima potenza elettorale del partito, vicino all’8 per cento alle Regionali.I due deputati salutarono l’ex magistrato per andare a consegnare oltraggiosamente la fiducia nelle mani dell’allora premier Silvio Berlusconi. Il partito del gabbiano in technicolor sembrò metabolizzare abbastanza bene la botta: in fondo bastò ridicolizzare i due transfughi, facendone delle maschere da commedia dell’arte, Volta&Gabbana.
Ma i nodi sono venuti al pettine nel 2012, vero annus horribilis di Antonio Di Pietro. Travolto dalle vicende giudiziarie di alcuni suoi uomini e da tragiche esitazioni personali, scansato come la peste dal già (poco convinto) alleato Pd, persuaso di essere diventato da valore aggiunto la palla al piede del partito al punto da convincersi a togliere il nome dal simbolo, rottamato da Beppe Grillo che si permette il lusso di archiviarlo con stile proponendolo al Quirinale, affossato dai primi insuccessi elettorali dopo anni di costanti ascese: il 19 ottobre un sondaggio Swg lo dà al 4,3 per cento, quasi due punti in meno rispetto a maggio. E c’è da giurare che dopo il voto in Sicilia (dove l’Idv ha rastrellato solo il 3,5 per cento, mentre a maggio a Palermo Leoluca Orlando lo aveva trainato oltre il 15) e dopo Report il potenziale elettorale del partito è sceso ben sotto la soglia di sbarramento che con la legge elettorale attuale garantisce l’elezione di deputati. Di Pietro è un dead man walking .
Il vero colpo mortale all’Idv lo hanno portato le vicissitudini giudiziarie degli ultimi mesi, che hanno alterato il dna moralista del partito che raccolse l’eredità spirituale di Mani Pulite. Il primo caso scoppia a settembre, quando Paolo Nanni, consigliere provinciale Idv, riceve un avviso di garanzia dalla procura di Bologna con l’accusa di peculato: Domenico Morace,ex coordinatore bolognese dell’Idv, lo accusa di aver gestito in modo poco trasparente i contributi che il gruppo regionale, di cui in quegli anni Nanni era unico esponente, ha ricevuto dal 2005 al 2010, pari a un totale di 450mila euro. Poche settimane ed esplode un caso analogo alla Regione Lazio: il capogruppo nonché segretario regionale Vincenzo Maruccio, sponsorizzato dal cognato ( ahi!) di Di Pietro, Gabriele Cimadoro, viene indagato per peculato. Si sarebbe appropriato dei 781mila euro ricevuti dal gruppo regionale dell’Idv come rimborso.
Terzo caso, quello di Marylin Fusco, avvenente vicepresidente della Regione Liguria nonché assessore all’Urbanistica, con il vizio di collezionare inchieste: dapprima viene indagata per abuso d’ufficio in merito alla costruzione di un porticciolo turistico a Ospedaletti, poi finisce dei guai anche nella gestione dei fondi post-alluvione. Il 2012 è agli sgoccioli, ma l’Idv potrebbe finire prima.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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