S empre più imprenditori falliscono oppure scelgono volontariamente di chiudere i battenti, sottraendo ricchezza e occupazione al Paese. Il 2013 è stato da questo punto di vista l'anno peggiore da quando è iniziata la crisi. Tra fallimenti, procedure non fallimentari e liquidazioni volontarie, le aziende che sono scomparse in un solo anno sono state 111mila. Il 7,3 per cento in più rispetto al 2012.
Nello specifico - ha rilevato il Cerved - i fallimenti sono stati oltre 14mila, il 12% in più rispetto al 2012, che fu già un anno record. È il peggior dato dal 2001, ma solo perché quello è l'anno in cui è iniziata la serie storica.
L'anno scorso la crisi, con buona pace di chi vedeva i primi segnali di ripresa, ha colpito anche i settori che sembravano essere usciti dal tunnel. In particolare l'industria, che nel 2012 aveva fatto registrare un calo dei fallimenti del 4,5%, nel 2013 ne ha registrati il 12,9% in più. Male anche l'area del Paese dove si trova la maggior parte delle imprese esportatrici, il Nord Est, passato dal -3,6 per cento di fallimenti nel 2012 a una crescita del 19,7%.
In Emilia Romagna l'aumento è stato del 25%, in Trentino Alto Adige del 21% e nel Veneto del 16%. Più contenuta la crescita nelle regioni del Centro (+13%) e del Sud (+10%. Nella media la Lombardia (+12%), mentre nel Piemonte si registra un incremento molto più modesto (+2%). Fallimenti in calo in Liguria (-8%) e in Valle d'Aosta. Al Sud un aumento record in Sicilia (+27%), attenuato dal calo delle procedure in Abruzzo (+15%) e Basilicata (+3%).
Per quanto riguarda i settori, sono state colpiti in particolar modo i servizi finanziari con un aumento del 40,5 per cento e dell'energia, con il 37,6 per cento. Nel terziario, male la distribuzione con tremila fallimenti (in aumento del 11,6%) e i servizi non finanziari con quasi due mila chiusure (+19,6%). Non è il sano metabolismo dell'economia (imprese che chiudono e altre che aprono), né un effetto distorto, quale potrebbe essere ad esempio la chiusura di società di comodo. Le cessazioni sono aumentate proprio tra le società «regolari» che presentano bilanci. Poi c'è stato poi un vero e proprio boom di quegli strumenti che permettono a un imprenditore o di uscire di scena o cercare di salvare il salvabile. I concordati preventivi, cioè l'accordo tra un'azienda debitrice che rischia di fallire e i suoi creditori, sono stati il 103% in più rispetto all'anno precedente. Aziende che hanno forse evitato di chiudere definitivamente.
All'origine dei dati sul concordato, ci sono anche le novità normative come l'introduzione del concordato in bianco, che, spiega l'amministratore delegato del Cerved Gianandrea De Bernardis - «ha trovato ampio utilizzo» presso le aziende italiane. La procedura consente di bloccare le azioni esecutive dei creditori in attesa di preparare un piano di risanamento. Nel solo 2013 le domande sono state 4.400, ma è anche vero che a fine anno il flusso di domande si è interrotto perché con il decreto Fare la normativa è tornata restrittiva a danno delle aziende in difficoltà.
In forte crescita anche il numero di chi ha deciso di ritirarsi. La maggior parte di cessazioni riguarda infatti le chiusure volontarie, che sono state ben 94 mila, il 5,6% in più rispetto all'anno precedente.
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