L'eroina dei due mondi che fa impresa il personaggio 2

di Vittorio Macioce

Non sai se un giorno anche lei scriverà Il Milione e neppure se tornerà a vivere a Hulan, in Manciuria, o almeno a Pechino. Se c'è però qualcuno che sta raccontando l'Italia ai cinesi questa è Hu Lanbo (nel tondo). E magari anche il contrario. Da qualche giorno c'è in libreria Petali di Orchidea (Barbera editore) ed è il primo romanzo cinese scritto in italiano. Come Marco Polo il suo viaggio è avventura, commercio, curiosità. Se si è fermata qui, però, è per amore. Ballerina, imprenditrice, attrice, giornalista, narratore, editore e direttore della rivista Cina in Italia, ma per capire chi è davvero Hu Lanbo bisogna partire da una vecchia auto del 1907. È una Fiat Itala 35-45 Hp ed è quella guidata dal principe Scipione Borghese, che con a bordo il padre di tutti gli inviati Luigi Barzini e il meccanico Guizzardi vinse una gara leggendaria da Pechino a Parigi. Nel 1987 Hu Lanbo incontrò il signor Tenti che le fece questa domanda: «Vuoi rifare con noi l'impresa? Potresti fare un reportage di viaggio per la televisione italiana». La Fiat aveva tirato fuori l'Itala dal Museo dell'automobile di Torino e investito una grossa somma per restaurarla. È con quel cimelio che Hu Lanbo e i suoi amici fecero ventiduemila chilometri, percorrendo la Via della Seta e attraversando dieci nazioni. Se sta in Italia un po' è per quel viaggio. Qui ha amato, ha scritto, ha curato la suocera, si è stupita, scandalizzata, ha tracciato una rotta tra due culture. Quando arrivò a Roma le consigliarono di insegnare francese nelle scuole. È laureata alla Sorbonne. Provò a fare qualche supplenza. «Ma se una trentenne doveva aspettare la chiamata per andare a far lezione, allora probabilmente un lavoro vero non sarebbe arrivato prima dei quaranta». I cinesi pensano che i quarant'anni siano il periodo di massimo successo. «Se a quarant'anni non si è ancora trovato lavoro è destino che non si ottengano mai grandi risultati». Niente scuola. Sceglie l'impresa. E qui combatte contro la burocrazia italiana. Scopre che per aprire una partita Iva bisogna sostenere un corso e fare un esame. Si becca in faccia tutti i no dei direttori di banca che le rifiutano prestiti e fiducia. Quando un giorno il suo lavoro di import-export di scarpe dalle Marche alla Cina diventa un successo, lei resta fedele alla Bank of China di Parigi e rifiuta le offerte italiane. «I cinesi hanno un detto: chi beve l'acqua non dimentica chi ha costruito il pozzo». Hu Lanbo come tanti cinesi è innamorata del made in Italy, ma scopre che molte aziende sono approssimative e poco affidabili. I cinesi sono precisi, puntuali, e forse anche un po' permalosi. È che si aspettano molto dall'Italia. Forse troppo. Hu Lanbo sono anni che sta tracciando mappe e rotte. È una «cartografa» e pensa che questi due mondi, con le loro storie antiche, abbiano molto da condividere. Pechino invidia il nostro fascino, Roma continua a illudersi che Pechino non esista. Forse loro sono più curiosi di noi.

Ma una cosa è certa. I cinesi hanno un mercato enorme e sognano che sia pieno di prodotti italiani. Questo, dicono in Cina, non è comunque un problema. O ce li portiamo noi o ci pensano loro. A noi la scelta (ma ancora per poco).

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