Monsignor Negri: "Basta divisioni in correnti, riformiamo la Chiesa"

La scelta del Pontefice nata in un contesto di solitudine

Monsignor Luigi Negri, da poco nominato vescovo di Ferrara e Comacchio, storico della Chiesa per anni in forza all'Università Cattolica di Milano. Partiamo dalle cose positive di queste dimissioni a sorpresa di Papa Benedetto XVI.
«Sono tante, anzitutto perché sono un evento».
Che tipo di evento?
«Sostanzialmente religioso. Il Papa offre l'esempio a tutti: con le dimissioni dice che la Chiesa va servita».
Ritirarsi significa servire?
«Certo. Ha compreso che le forze fisiche non lo sorreggono più e ha deciso di lasciare spazio a qualcun altro. Ma c'è anche il segno di grande umiltà e grande realismo, dopo un pontificato all'insegna della proposta di un'autentica esperienza di fede incentrata sulla ragione».
Ci sono solo difficoltà fisiche dietro le dimissioni?
«Diciamo che il contesto nel quale sono maturate è evidentemente caratterizzato da un alto livello di problematicità nel quale si ha la percezione di una solitudine del Papa unita a una non adeguata collaborazione. Perciò ritengo che si apra un problema non solo per il suo successore ma per tutti».
Sta dicendo che la Chiesa è divisa e che sarà dura di qui in avanti?
«Sto riportando i concetti molto seri che ha espresso lo stesso Benedetto XVI tre giorni fa nella basilica vaticana: basta divisione, si apra il tempo dell'unità».
Con chi ce l'aveva il Papa?
«Con il clima in generale. È un momento di contrapposizioni drammatiche a livello anche culturale e sociale. Nella Chiesa si verificano ogni volta che prevalgono fra le diverse sensibilità priorità politiche».
Cosa serve allora?
«Una sola cosa: conversione. La conversione di tutti all'unità che sgorga dalla presenza di Cristo. Se tutto riparte da Cristo nasce la comunione in cui ognuno è portatore di un dono per l'altro».
Come arrivare a questa unità?
«Ci deve essere una grande riforma intellettuale anzitutto, prima che morale. Prima il riconoscimento che la Chiesa è una e sta insieme perché riconosce Cristo presente. A questo riconoscimento seguirà poi una riforma morale la quale senza l'unità che ho appena descritto diviene moralismo».
Difficile da capire...
«No, molto facile. La Chiesa, i vescovi e il popolo cristiano insieme, debbono ritornare a seguire la medesima cosa. E cioè il magistero del Papa e della stessa Chiesa. In questa sequela unitaria le diverse sensibilità non perdono la propria identità ma servono insieme la medesima causa».
Perché, fino ad oggi c'è stato chi non ha seguito il magistero?
«Beh, sì. Ci sono magisteri paralleli che sono andati e vanno per strade che portano alla divisione. Invece serve l'umiltà di tornare a seguire tutti la stessa cosa. Soltanto da qui si può arrivare a quella riforma morale che auspica davvero anche il Papa. Troppe volte nella Chiesa si sente anche di preti che predicano le proprie idee e non la verità della fede. Invece, è il magistero e la dottrina sociale della Chiesa che i preti dovrebbero tornare a studiare. Nelle università teologiche, nei seminari, occorrerebbe imporre lo studio del magistero così che chi viene ordinato sappia bene che cosa dovrà a sua volta insegnare».
Un compito anche per i laici?
«Certo. I preti devono insegnare ai laici cosa è giusto per la Chiesa e cosa è sbagliato, non infondere confusione. I valori non negoziabili non sono stati ricordati dal Papa più volte a caso. Noto, ad esempio, una grande povertà dei temi non negoziabili nei programmi politici. Per me è una mancanza grave. Colpa dei politici, certo, ma anche la Chiesa dovrebbe parlarne con più forza e incisività. Non è un tema sul quale si può trattare. Se la Chiesa dice a gran voce ciò in cui crede e che ritiene sia giusto per ogni uomo, allora anche la classe politica è aiutata a recepire.

Se la Chiesa invece resta tiepida è inevitabile che lo siano anche i politici e i loro programmi di governo».
Quali caratteristiche deve avere secondo lei il successore di Joseph Ratzinger?
«Deve essere un padre del popolo, un pastore, capace di vivere un servizio assoluto verso tutti valorizzando la comunione».

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