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Il metodo Boccassini: così al pool antimafia la faceva da padrona

È stata lei a decidere chi promuovere e chi rottamare. E ora i suoi metodi di selezione sono al vaglio del Csm

Il metodo Boccassini: così al pool antimafia la faceva da padrona

A desso che sul tavolo del Consiglio superiore della magistratura finiscono i suoi metodi di selezione del personale, la scelta dei pm di cui fidarsi e di quelli da rottamare, per capire la gestione che Ilda Boccassini ha fatto del suo ruolo bisogna partire da una poesia. È la poesia che la dottoressa fece distribire a tutti i suoi pm nel marzo 2010, quando finì sul Giornale la notizia di una riunione un po' agitata del suo pool, il pool antimafia della Procura di Milano. «Io sono il padrone del mio destino, io sono il capitano della mia anima», diceva la poesia: è Invictus di William Ernest Henley, quella che Mandela teneva nella sua cella, e che - scrisse la Boccassini- «mi ha accompagnato nei passaggi più duri della mia vita».

La scelta di Henley la dice lunga sulla visione quasi eroica che Ilda Boccassini attribuisce al proprio ruolo, e che la porta a tracciare righe nette tra alleati e avversari. Nello scontro furibondo in corso all'interno della Procura di Milano, e in cui il Csm è chiamato a fare da arbitro (non proprio imparziale, a leggere l'intervista di ieri del suo vicepresidente Michele Vietti) una delle accuse più esplicite che viene fatta al procuratore Edmondo Bruti Liberati è di avere avallato, per debolezza o per contiguità, lo strapotere della Boccassini: non solo nell'impadronirsi di inchieste per cui non aveva competenza, come nei casi Ruby ed Expo, ma anche nel pretendere di scegliere uno per uno i pm da inserire nel pool antimafia.

Nella sua audizione davanti al Csm, è stato un grande vecchio della Procura milanese, Ferdinando Pomarici, a raccontare di avere «rotto» con Bruti proprio su questo punto, quando scavalcando le graduatorie venne assegnata al pool una pm il cui unico titolo era di «essere stata uditrice giudiziaria», cioè tirocinante, della stessa Boccassini.

Possono sembrare vicende interne, ma invece la dicono lunga sui climi milanesi. La giovane premiata con il posto all'antimafia si chiama Paola Biondolillo, era con Ilda a Caltanissetta, e a Milano il procuratore la nominò scavalcando un altra magistrata assai più anziana, Ester Nocera. La Nocera presentò ricorso al Csm, facendo presente il dettaglio surreale che la Biondolillo aveva presentato la sua richiesta prima ancora che il bando venisse aperto e addirittura prima ancora di prendere servizio a Milano. Il Csm respinse il ricorso.

Per altre due volte, la Nocera è stata scavalcata con motivazioni sempre diverse. Ora ha deciso di mollare il colpo, e se ne va da Milano, come dal pool antimafia se ne sono andati in questi anni una serie di magistrati che ne costituivano l'ossatura, ma che non erano «in linea» con la Boccassini.

Il riscontro più chiaro a questi malumori lo ha dato Filippo Spiezia, sostituto procuratore nazionale antimafia incaricato dei rapporti con Milano, quando ha messo nero su bianco nella sua relazione annuale che Ilda Boccassini tiene all'oscuro delle sue inchieste sia la procura nazionale che una parte degli stessi membri del suo pool, evidentemente considerati non affidabili. Spiezia ha pagato con la poltrona le sue accuse alla Boccassini: ufficialmente è stato lui a chiedere di non occuparsi più di Milano, ma nella sua audizione al Csm ha raccontato che Bruti Liberati andò a lamentarsi di lui con il procuratore generale della Cassazione. E comunque ha confermato e ribadito le accuse, sostenendo che ci sono la bellezza di 49 episodi in cui la Boccassini ha rifiutato di fare circolare le informazioni, come prevede invece la legge sulle procure antimafia.

Tutto questo, a volte in nome di scelte investigative diverse su singoli casi, ma sempre e comunque della certezza di essere dalla parte della ragione: «Ringrazio qualunque divinità esista per la mia anima invincibile», dice d'altronde la poesia.

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