Egregio direttore, Da qualche giorno leggiamo sulle prime pagine dei quotidiani e ascoltiamo nelle varie edizioni dei telegiornali nomi e cognomi di persone coinvolte con accuse pesantissime in casi di corruzione. «Testimoni chiave» che riempiono pagine e pagine di verbali, che, grazie alle loro testimonianze, raccontano, citano fatti, e quello ha detto, e quello ha telefonato, e quello ha chiesto somme, quell'altro ha (...)
(...) chiesto favori, e la stampa spara nel mucchio. Non parliamo poi dei tanti talk-show ai quali partecipano con solerzia giornalisti di tutte le razze. Anche se non viene configurato né ipotizzato alcun reato, giù a fare nomi, accuse, insinuazioni, spesso con arroganza e presunzione.
Non occorre essere indagati, il che non giustificherebbe comunque l'essere «sbattuti in prima pagina», ma è sufficiente che il tuo nome sia citato nei verbali di tutti questi signori e signore che tanto hanno da raccontare, per non parlare poi delle intercettazioni telefoniche, per «venire sputtanati».
E veniamo ai giudici. Finalmente la Camera dice sì alla responsabilità civile delle toghe. Era ora! Ma la votazione causa polemiche e preoccupazioni. L'Anm è sul piede di guerra e il vicepresidente del Csm pure: «È in gioco l'indipendenza di giudizio del magistrato, esporlo a un'azione diretta di responsabilità metterebbe a repentaglio il suo libero convincimento e produrrebbe un numero indefinito di processi su processi». Ma pensa!
Da sempre, invece, i magistrati, seguendo il «loro libero convincimento», hanno coinvolto e continuano a coinvolgere nelle loro inchieste persone risultate poi innocenti. E che sarà mai! È giusto così? Secondo me non è affatto giusto così, è semplicemente vergognoso. E posso dirlo con convinzione di causa. Sono trascorsi ben quarantaquattro anni da quando sbatterono «il mostro in prima pagina». Quel «mostro» era mio marito: Lelio Luttazzi.
Un semplice errore di un magistrato, ma quell'ERRORE rovinò la vita di Lelio. Preso e sbattuto a Regina Coeli in cella d'isolamento in compagnia del «buiolo» senza sapere il perché... Sì, perché allora un pubblico ministero poteva decidere se e quando farti incontrare il tuo avvocato. A Lelio bontà loro, lo permisero dopo quindici giorni.
Lo scrittore Giuseppe Berto nella prefazione del libro «Operazione Montecristo» (libro scritto in galera da Lelio durante quei 27 giorni d'inferno) scrive: «Noi siamo esposti alle offese di coloro che dovrebbero tutelarci dalle offese. È una generalizzazione necessaria, perché di pubblici ministeri come il tuo in Italia ce ne sono a centinaia. Su certe questioni noi siamo abituati a ragionare con le lettere maiuscole. Diciamo lo Stato, la Giustizia, la Magistratura. Lo facciamo per viltà, perché è faticoso rinunciare alla protezione degli dei, costatare che le Istituzioni più sacre così si diceva un tempo sono fatte da uomini che molto spesso sono peggiori di noi. Ma la questione di fondo rimane, ed è questa: due uomini che fanno lo stesso mestiere, usando gli stessi strumenti messi a loro disposizione dal sistema e valutando gli stessi elementi, ti trovano uno delinquente pericoloso meritevole di almeno tre anni di galera, e l'altro assolutamente innocente. È possibile lasciare un così largo margine di potere ad uomini che possono sbagliare? È possibile che i nostri legislatori non abbiano ancora capito la necessità di garantire l'indiziato? Ecco, non ho altro da dire. Auguro al tuo libro un grande successo, vorrei che tu avessi lettori a migliaia e che tutti, alla fine, arrivassero a pensare giustizia con l'iniziale minuscola». Era il 1970! Quarantaquattro anni fa! Lelio trascorse anni a querelare, a fare cause civili (mai una persa), poche lire per carità, ma immense soddisfazioni.
Lelio mi ha lasciata nel 2010. Ho continuato io al posto suo a fare cause: l'ultima vinta qualche mese fa.Rossana Luttazzi
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