Un canale, un vaporetto che passa pigro, un campanile storto sullo sfondo, mettiamoci pure un po' di nebbia. E sotto di essa una vigna. È la tenuta Venissa in Scarpa-Volo, nell'isola di Mazzorbo, a un tiro di ponte da Burano, l'isola dei merletti e delle case coloratissime, nella laguna veneziana. Anzi, nel comune di Venezia. Qui, nella vigna che occupa parte dell'orto curato dagli anziani di Mazzorbo e cinto da un muro settecentesco in parte ricostruito, cresce la Dorona, un'uva autoctona ma talmente autoctona da essere sul punto di scomparire. I contadini dell'isola, infastiditi dalla bassa resa e dalle cure richieste da quelle viti esangui, si apprestavano a espiantarle. In quel momento è passato per caso a Mazzorbo il viticultore di Valdobbiadene Gianluca Bisol. Che ha supplicato i vignaioli mazzorbesi di salvare quel reperto di una remota civiltà contadina e poi, con l'aiuto del fratello Desiderio e del wine-maker Roberto Cipresso, ha compiuto un'operazione di filologia enologica e il cui frutto è Venissa, il vino di Venezia, un bianco di quella sapidità che solo le terre di mare sanno donare. Un atto di business inconsulto, roba da spedire un commercialista dritto sul lettino dello psicanalista. E un vigneto da cartolina come quello di Trinità dei Monti a Roma. Venissa è uno dei tanti vini assurdi ed estremi del meraviglioso vigneto Italia. Alcuni questa pazzia la chiamano enologia eroica. Ma per noi è due volte eroica. Perché in questo momento di crisi infinità c'è già qualcosa di valoroso nel fare impresa e nel farla con le mani dentro la terra. Figuriamoci quando questa terra è inospitale, oppure lontana da tutto, oppure improbabile, oppure ripida. Eppure Bacco è un dio che per ebbra natura predilige fare cin cin con i folli e i visionari.
Prendete le piccole isole. Qualche anno fa il giornalista Andrea Gabbrielli ha dedicato un piccolo delizioso volume (Il vino e il mare, edizioni Iacobelli) a tutti frammenti di Italia sparsi per il Tirreno, lo Ionio, il canale di Sicilia, l'Adriatico in cui qualcuno si ostina a cavar nettare da grappoli assetati e malvissuti. Il Passito di Pantelleria lo conoscono tutti o quasi. E anche il Biancolella di Ischia e l'Aleatico elbano hanno i loro estimatori. Ma quanti hanno assaggiato un vino prodotto a Ustica, a Gorgona, a Ponza, al Giglio, a Capri, a Lipari? Quanti immaginano le difficoltà che si possono incontrare a fare i vignaioli in aree spesso scoscese, aride, arse dal sole e perlustrate dal vento, collegate alla terraferma da traghetti spesso inaffidabili, che vantano nella loro ampelografia vitigni quasi clandestini, aspri, poco socievoli come solo gli isolani sanno essere? Prendete Favignana, l'isola più grande delle Egadi, al largo di Trapani. Qui la vite era stata abbandonata ai primi del Novecento. Ci ha dovuto pensare la casa vinicola Firriato, una delle più note dell'intera Sicilia, a riportarla con il progetto Insulae: quattro anni di sperimentazione nella tenuta di Calamoni, infine lo scorso anno la prima vendemmia: cinque ettari in faccia al mare, cinque varietà (Nero d'Avola, Perricone, Grillo, Catarratto e Zibibbo) e tre etichette: il bianco La Muciara, il rosso Le Sciabiche e il dolce Passulè.
Teatri per eccellenza dell'enologia eroica sono le montagne, a cui la terra per le vigne è strappata metro a metro da terrazzamenti vertiginosi. Un paio di anni fa, per dire, ci fu chi promosse il più assurdo dei premi enologici, lasciando scegliere a un gruppo di speleologi i cinque vini più eroici d'Italia: in premio per tutti una grotta nella propria regione. In Valtellina, sulle terrazze cinte da muretti a secco, la volontà dell'uomo ha creato una perla come la Chiavennasca, la varietà locale del nobile Nebbiolo, che dà vita a vini dall'eleganza infinita, il più pregiato dei quali ha un nome che ne registra i natali stentati: Sfursàt. In Liguria viticultori come stambecchi guardano da lontano il mare e ci donano la Sciacchetrà delle Cinque Terre e il Rossese di Dolceacqua. In Campania l'azienda Marisa Cuomo da anni incanta con i vini per lo più bianchi prodotti nei cinque ettari di rocce dolomitico-calcaree educate da rabbiosi terrazzamenti a 500 metri sul livello del vicino mare della Costa d'Amalfi.
E anche nella opulenta e vivacissima Sicilia del vino, l'ultima frontiera dell'eccellenza ormai sono i vini bianchi e rossi dell'Etna, ai piedi del vulcano più alto d'Europa: la varietà dei climi e dei terreni ne fanno una sorta di continente in sedicesimo. Alcuni nomi? Benanti, Passopisciaro, Cottanera.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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