È stato il primo sugo pronto industriale sbarcato in Italia nel lontano 1962. E più di tre milioni di famiglie italiane lo acquista regolarmente. Ma ora potrebbe crollare anche il mito del Gran Ragù Star, quello che ti viene voglia di assaggiarlo quando, negli spot televisivi, lo vedi fumante sulla pastasciutta. Il Gran Rugù Star, infatti, potrebbe essere «contaminato» da carne di cavallo.
Ma l'azienda di San Giovanni in Persiceto (Bologna) precisa: «Niente carne di cavallo ma solo ragù di bovino, come dichiarato nell'etichetta». E aggiunge: «Sono state dissequestrate anche le 2400 confezioni di lasagne marchio Primia prodotte dalla Cucina di Bologna». L'amministratore della ditta aveva già riferito di aver acquistato la carne da un'azienda lombarda, nella certezza che si trattasse solo di carne di manzo.
Tuttavia la «componente equina» ormai sembra diventata un ingrediente fondamentale di tutti i preparati pronti a base di manzo: dalle lasagne ai tortellini, dai ravioli ai cannelloni, dagli hamburger alle polpette, dal kebab alla moussaka fino al goulash.
Non c'è scampo, non ci sono confini. La carne di cavallo finisce macinata in tutto le pietanze del pianeta. A partire dall'Italia. Per esempio, prendiamo il caso che ha coinvolto il colosso spagnolo Star. I carabinieri dei Nas di Milano hanno prelevato campioni di alcuni sughi prodotti nello stabilimento lombardo di Agrate Brianza: quello classico, con verdure e quello alla bolognese. Risultato: i quattro i lotti esaminati sono risultati positivi a dna equino perché erano state utilizzate partite di carne macinata congelata proveniente dalla Romania e acquistate dal un fornitore francese GEL ALPES di Saint Maurice Manosque, ora nei guai. Così, al di là degli aspetti giudiziari, 300 mila confezioni andranno in discarica.
Ma questo ultimo scandalo è solo l'ultimo anello di un fenomeno che ha colpito, secondo le stime di Coldiretti, ben 200 diversi tipi di confezioni alimentari ritirate dal commercio in almeno 24 Paesi europei, asiatici e americani. I danni nel settore alimentare hanno superato il miliardo di euro per le confezioni sequestrate e distrutte, per i cali nei consumi provocati dalla psicosi, per i costi dei maggiori controlli. Senza contare il crollo di immagine delle principali multinazionali della distribuzione commerciale e dell'industria alimentare. Chi si fida più della Findus, della Nestlè, di Lidl o di Ikea (quando ci propina le polpette?)
Cosa frulla a questo punto nella testa dei consumatori? Paura, sconforto, rabbia per essere stati truffati da etichette menzognere che nascondono chissà che loschi giri d'affari. Per esempio, chi ci garantisce che questa carne equina non provenga da animali dopati e macellati clandestinamente? E chi avrà ancora fiducia nei preparati pronti e via? Una reazione immediata è certa: secondo la Cia-Confederazione italiana agricoltori, il 45 per cento degli italiani evita di comprare il cibo «contaminato» per un bel pezzo. Reazione più che ovvia visto che, per otto cittadini su dieci, la garanzia di sicurezza alimentare è fondamentale nelle scelte di acquisto. Ma il guaio è che la psicosi alimentare rischia di travolgere anche chi si comporta correttamente. E ne vanno di mezzo pure gli allevatori italiani, che già segnalano un crollo delle vendite del segmento del 10 per cento circa da quando è esploso lo scandalo di carne equina anche in Italia.
A questo punto, per arginare i danni e ridare fiducia ai consumatori c'è solo una sola strada da imboccare: più trasparenza degli
scambi commerciali e l'estensione a tutti i prodotti dell'obbligo di indicare la provenienza in etichetta. Una soluzione che sarebbe necessaria e urgente ma che non è neppure all'ordine del giorno nell'agenda di Bruxelles.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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