Le Regioni ladre sono peggio di Mani pulite

Qesti enti si sono sempre distinti per avere saccheggiato il denaro pubblico senza fornire alcun vantaggio agli italiani

Le cronache raccontano anche i dettagli degli scandali nelle Regioni, dal Lazio alla Lombardia passando per l'Emilia e il Piemonte (e trascuriamo il Molise, almeno per ora). Non è il caso di insistere con discorsi tecnici che hanno il «pregio» di risultare incomprensibili ai più, oltreché stucchevoli e inconcludenti. Dall'elencazione delle malefatte commesse qua e là, senza distinzione, a destra quanto a sinistra, i cittadini ricavano soltanto sensazioni di disgusto e di stanchezza. Non sottilizzano, reagiscono sbuffando, ripromettendosi di non andare a votare o di votare sulla spinta del cattivo umore. In una parola: non capiscono.
Non capiscono che cosa stia succedendo, né perché succeda dappertutto e non si riesca ad arginare la corruzione e lo sperpero del denaro pubblico. Mercoledì sera ero a Porta a porta. In studio, con Bruno Vespa, tre governatori e due colleghi giornalisti, Mario Orfeo, direttore del Messaggero, e Giovanni Valentini, editorialista della Repubblica. Solite discussioni: sui profittatori, sui disonesti eccetera. Ho osato affermare che le Regioni sono enti inutili; peggio, dannosi. E ho chiesto ripetutamente: a che cosa servono? Nessuno ha risposto. Dal che si evince che neppure i governatori sanno perché stanno lì, al vertice di queste strane istituzioni di cui si ignorano le attribuzioni, a parte la gestione finanziaria della Sanità, peraltro pessima, specialmente nel Mezzogiorno.
Basti pensare che il Lazio ha accumulato debiti per svariati miliardi. Come? Non c'è verso di scoprirlo. Chi sono le persone fisiche che hanno dilapidato tanto denaro? Mistero. Non sono mai state denunciate. Gran parte delle competenze regionali sono state (ri)delegate alle Province, per esempio la manutenzione delle strade. Le Regioni si segnalano all'attenzione generale solo per le ruberie. Questo, perlomeno, è il messaggio ricevuto dal popolo attraverso i media. Renata Polverini (non è indagata) è stata costretta a dimettersi. Poveraccia. Interrogata sulla consapevolezza del disastro che avveniva in casa sua, non è stata in grado di comunicare altro che il proprio disagio. Forse sospettava, ma non ha osato denunciare. Abbozzava. Ha notato che nel suo bilancio erano iscritti 14 milioni destinati ai gruppi consiliari? Non si è domandata come mai quattro gatti (per ogni partito) incassassero una tale quantità di soldi?
Il problema è che uno, o una, viene eletto governatore e si adatta al costume consolidato nell'ente: è la prassi. Ma quale prassi, perdio? Volete controllare dove finiscono i quattrini a voi affidati? Nessuno sospetta che la signora Polverini fosse connivente con gli arraffoni laziali, per carità. Ma è troppo pretendere da un governatore che tenga gli occhi aperti e si renda subito conto della bulimia dei consiglieri che rappresenta o guida, e con i quali comunque ha a che fare per motivi d'ufficio?
Gli stessi interrogativi sono da porre a Roberto Formigoni, di cui conosciamo la lunga esperienza maturata in quattro mandati (diconsi quattro) consecutivi. Possibile che un veterano come lui non abbia avuto la percezione di coabitare con 12 o 13 personcine (perbene, fino a prova contraria) comunque alle prese con grane giudiziarie? Non ha mai avvertito l'esigenza di rifilare loro un metaforico calcio nel sedere, oppure di indire un'elegante conferenza stampa per significare ai lombardi che ne aveva piene le scatole d'essere contornato da collaboratori chiacchierati, per usare un termine cortese? Niente di tutto ciò. Mentre Pirellone e Pisana venivano imbrattati di fango, i signori governatori - stimabili finché volete - se ne stavano acquattati sotto le scrivanie nella speranza di ripararsi dagli schizzi. Non basta non fare niente; in presenza di un nutrito gruppo di scarafaggi, bisogna agire: per esempio chiamare qualcuno che te ne liberi.
La situazione è talmente degenerata che i cittadini fanno delle smorfie di disgusto e voltano la testa dall'altra parte: se avvicinati da un qualunque politico, il loro primo pensiero corre al portafogli, e, con gesto guardingo della mano, tentano di proteggerlo.
Non è bello. Se gli amministratori si sono fatti questa fama, la colpa non è certo degli amministrati, per quanto fra questi non manchino i furbetti. Se poi si apprende che un assessore, immigrato da Bari, si è fatto sponsorizzare dalla 'ndrangheta (con 4mila preferenze pagate 200mila euro), ovvio che la reputazione del Pirellone e dei suoi inquilini ne esca maluccio. Concorda, presidente Formigoni? Anche per lei vale il quiz: dormiva quando gliela facevano sotto il naso?
Sia come sia, sarebbe scorretto sostenere che tutte le Regioni sono uguali e ugualmente condannabili. Alcune di esse se la sono cavata, altre meriterebbero la censura. Senza però dimenticare, mai, che questi enti, da quando (non) funzionano - inizio anni Settanta - si sono distinti per avere saccheggiato il denaro pubblico senza fornire alcun vantaggio agli italiani del Nord, del Sud e del Centro. Hanno contribuito a incrementare il debito pubblico e a diminuire l'efficienza della (ingigantita) burocrazia.
Infine, una constatazione da cui trarre una riflessione. L'ondata di corruzione che ci travolge sta creando un clima irrespirabile, che assomiglia molto a quello dell'indimenticabile Tangentopoli, vent'anni orsono. C'è solo una differenza.

I «mariuoli» (si fa per dire) della prima Repubblica avevano un pretesto quasi nobile per giustificare le loro nefandezze: rubavano per finanziare il partito. Quelli di oggi rubano anche al partito per abboffarsi di ostriche; mirano ad arricchirsi personalmente e ci riescono benissimo. Converrete, fanno ancora più schifo.

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