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Lo strazio dei figli, con Marta e Marina mano nella mano

In prima fila gli eredi di Berlusconi con l'ultima compagna del padre, che non trattiene le lacrime. Dietro di loro Veronica Lario. In Duomo anche la Pascale, assente la prima moglie

Lo strazio dei figli, con Marta e Marina mano nella mano

Una bellissima orrenda giornata. Scrosci di applausi ed esplosioni di lacrime. Il viaggio in solitaria di Silvio Berlusconi che parte dalla sua Arcore e attraversa la sua Milano e in orario perfetto arriva sotto alla Madonnina, con la folla acclamante che imbottisce e rende piccola piazza Duomo. La bara appoggiata a terra (solo un tappeto a dividerla dal marmo) davanti all'altare e un funerale che è stato un po' meglio dell'incoronazione di Re Carlo. Altrettanto grandioso ma inspiegabilmente semplice: niente riferimenti politici, i tempi, le inquadrature, l'omelia, il suo popolo fuori dalla cattedrale, le bandiere del Milan, i cori, e perfino quel cielo di Lombardia così bello quando è bello... C'erano da Lele Mora a Sergio Mattarella a salutare il Cavaliere: in pieno stile Cavaliere. E c'erano le lacrime inarrestabili della figlia Marina e della compagna dell'ex premier, Marta Fascina. Quando un dolore privato ha una portata tanto pubblica, c'è sempre un momento in cui l'ufficialità prende il sopravvento e il pianto si asciuga. Sospeso dal protocollo, dal fiume di persone, dalle telecamere puntate sulla prima fila, dai picchetti d'onore, dal presidente del Consiglio a cui stringere la mano... Ci si stacca da quello che si sente e ci si concentra su ciò che si ha l'obbligo di fare. Uno stordente, salvifico delirio pratico che trascina lontano da ciò che ti stringe il petto. Marina e Marta no, hanno pianto sempre, dall'inizio alla fine. Un po' tutti i Berlusconi in quella «pole position» attaccata alle altre che pareva però fluttuare in solitaria: il fratello di Silvio, Paolo, i figli Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi. Ma Marina a Marta, non hanno quasi alzato lo sguardo dalla bara, se non per incrociare una quello dell'altra, per sapere che a piangere erano in due, insieme. Senza forse volerlo, Marta si è presa la scena: con quel lungo collo che sembrava faticasse a sorreggere la testa perennemente inclinata di lato e quei tratti dolenti da Madonna botticelliana. È stata la «moglie», la vedova, la padrona di casa. Qualche fila più indietro c'era l'ex consorte del Cav, Veronica Lario (madre di Barbara, Eleonora e Luigi) e seduta su un'altra panca, in tutt'altra posizione, anche l'ex compagna Francesca Pascale: pure lei ha pianto dall'inizio alla fine. Assente invece la prima moglie Carla Elvira Dall'Oglio (mamma di Marina e Pier Silvio). Ma sui maxi schermi era sempre quello di Marta il viso inquadrato. Sempre quello chignon biondissimo a stagliarsi sugli abiti scuri dei presenti, a fendere la luce obliqua tra le navate. Sono entrate per mano e se ne sono andate allo stesso modo le due donne di Silvio: l'adorata primogenita e la giovane, devotissima compagna. Si sono guardate e parlate senza parole legate da chissà quale intesa che non passava per nessun altro: né figli, né madri, né mariti. Solo loro due: il prima e il dopo, le aziende e la politica, le scissioni e le alleanze, l'eredità intellettuale. Si sono tenute su a vicenda quelle due bionde filiformi (mani sulle spalle, accenni di sorrisi, gesti complici). Marina era più minuta che mai, Pier Silvio e Paolo avevano i lineamenti stropicciati dal pianto, l'espressione che non riusciva a volgere al bello. Più imperscrutabili gli altri tre figli (con Eleonora protetta dalla veletta del cappellino) ma tanto c'era poco da immaginare come stessero tutti. Compresa la folla fuori, sterminata ma educata e rispettosa anche quella, malgrado gli ultras del Milan, la curva Pieri del Monza, i cori «un presidente, c'è solo un presidente», e le signore con le spillette vintage di Forza Italia, con i loro cagnolini bianchi in braccio e i giornali con i titoli dedicati al Cavaliere esibiti nell'altra mano. Il popolo di Silvio orfano e commosso. Sotto al sole per aspettarlo lungo il tragitto dei trentasei chilometri che ci sono voluti da villa San Martino a piazza Duomo e per attenderlo anche all'uscita dalla chiesa. La folla dietro le transenne e lui dentro una bara ad affacciarsi per l'ultima volta «Grazie Silvio» con i suoi figli, e Marta, che si avvicinano alla gente, si fanno sotto ai richiami, ai saluti, ai baci lanciati all'indirizzo del padre che non può più prenderseli. E allora ricambiano loro le mani al petto o sulle labbra e poi verso di loro: i fan di Silvio, quelli che gli hanno riconosciuto in vita ciò che c'era da riconoscergli e che lo piangono adesso. Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora, Luigi. E Marta. A pochi passi dalla fiumana di gente che invoca loro perché amava lui, loro che sono un po' lui. Le mani giunte in una preghiera laica a ringraziare chi quel padre non glielo ha strapazzato a insulti, ma anzi, oggi soffre a perderlo come fosse un parente. Che era una delle magie del Berlusca: farsi percepire (da molti) come un amico d'infanzia, un padre, un cugino d'America. Perché anche se si chiamano Berlusconi, i suoi figli, non hanno meno diritto di altri a non farsi inquinare il dolore. C'era «il mondo» in Duomo ieri a salutare il Cavaliere: tutte le epoche della sua vita, tutti i suoi amori, tutti i suoi figli, tutti quelli che hanno lambito un pezzo di ciò che è stato, cioè un sacco di cose. Eppure tutto sapeva di vero: da Lele Mora fino a Mattarella.

Sotto la regia invisibile, complice e potente di quelle due chiome bionde raccolte.

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