Le intuizioni sull’America neo-con

Pubblichiamo qui di seguito ampi stralci di uno fra gli ultimi articoli scritti per Il Giornale da François Fejtö. Venne pubblicato l’1 novembre 2004 con il titolo «L’America che rifiuta mediatori».

Più conosco l’America, più mi piace. \ A Charleston, Carolina del Sud, passo la giornata in tribunale accompagnando un’amica giurata. Mi sorprende che metà dei giurati non sia bianca: le razze non si mescolano, o quasi; ma si tollerano e coesistono nell’eguaglianza, o quasi. La vita economica migliora e i miei amici, per lo più docenti universitari progressisti, paiono aver perso contatto dall’uomo comune, che giudica Reagan una figura carismatica: l’ex-attore rinvigorì il Partito repubblicano, cancellando l’onta del Watergate. \ Negli Stati uniti come altrove, i nemici di Bush dimenticano che, se le sue campagne elettorali sono finanziate da petrolieri e capitalisti vari, il presidente non è un uomo di destra alla maniera europea: è populista, demagogo, ha bisogno di un appoggio più ampio di quello della vecchia destra, che gli permetta di attingere anche al vecchio elettorato democratico. \
Un giovane sociologo dell’Università di New York mi spiega l’altra causa del declino della sinistra e dell’ascesa della destra: il fenomeno Reagan è emerso mentre i rapporti di forza fra padronato e proletariato cambiavano a favore del primo. Sostegno dei democratici, i sindacati hanno perso altro terreno col deperire dei loro feudi: industria automobilistica, siderurgica, manifatture, edilizia. \
Il dialogo più interessante, istruttivo, l’ho col vecchio amico Irving Kristol, estremista di sinistra negli anni Cinquanta, tipico prodotto della Columbia University, ora capofila dei neoconservatori e detestato da sinistra. «Il neoconservatore - mi spiega Kristol - si distingue dal conservatore perché è un ex: ex progressista, ex militante per lo Stato assistenziale e la distensione. Il neoconservatore è necessariamente contro lo Stato assistenziale: vuole uno Stato efficiente, dai costi sociali tollerabili, che non renda i cittadini degli assistiti». Ma è soprattutto in politica estera che si vede il neoconservatore, uno che non crede alle soluzioni «internazionaliste», né all’efficacia dell’Onu o dell’Unesco. Dice infatti Kristol: «Roba vecchia. Quando si risvegliano i nazionalismi, un compromesso con loro potrebbe sfociare in un nuovo ordine internazionale». \ «Le responsabilità nella comunità internazionale rendono scomoda la nostra posizione, perché ora agiamo da grande potenza. I Paesi europei sono piccole o medie potenze, anche se non così piccole come taluni credono. Sono alleati degli Stati Uniti? O sono mediatori fra Stati Uniti e Russia, fra Stati Uniti e Terzo mondo, fra Stati Uniti e Medio Oriente?». - Non si può negare loro questi ruoli! «Invece sì - replica Kristol -. Non ci servono mediatori». \
Da neofita, Kristol eccede. Senza convertirmi in neoconservatore, la sua tesi è utile, anzi indispensabile per rinnovare la vita americana.

E per quella europea, se questa pressione servirà a finirla col disfattismo e a tenere presente che attraversiamo una rivoluzione mondiale. Dove - per dirla con Nietzsche - vinceranno «i più lucidi».
(Traduzione di )

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