John e George, i salvatori della teoria del Big Bang

Secondo la teoria del Big Bang, l'Universo cominciò ad esistere - e assieme a esso cominciarono ad esistere anche lo spazio e il tempo - da uno stato superdenso e supercaldo soggetto ad una continua espansione e raffreddamento a seguito di una titanica esplosione. Forse la parola «esplosione» non è appropriata, visto che accadde ovunque e allo stesso istante - quasi 14 miliardi d'anni fa - e non esisteva alcun vuoto che l'Universo nascente andava a riempire; ma, tant'è, non ne abbiamo una migliore e l'unico modo che conosco per figurarsi le cose è sforzarsi di evitare di pensare lo spazio separato dal tempo e abituarsi all'idea di spazio-tempo. La parola «teoria» ha nel linguaggio scientifico un'accezione diversa che nel linguaggio ordinario: in questo essa significa ipotesi, congettura; in quello significa corpo di conoscenze logicamente organizzato e saldamente ancorato all'evidenza dei fatti. Insomma, una teoria scientifica è quanto di più vicino alla realtà delle cose possediamo, ed è in questo senso che va intesa la parola quando riferita, ad esempio, all'evoluzione darwiniana o, appunto, al Big Bang: chi liquida questi capisaldi della conoscenza osservando che essi sono solo «teorie» fa semplicemente un uso improprio della parola. Ogni teoria scientifica ha anche aspetti non ancora spiegati, ma ciò non significa che la teoria possa essere errata: contrariamente a quel che si crede, nessuna teoria scientifica - se veramente scientifica - è stata mai demolita. Quella del Big Bang non fa eccezione: dà, sì, ragione di un mucchio di fatti - compreso il fatto che il cielo di notte, a dispetto dei miliardi di stelle, è nero - ma lascia alcuni tasselli ancora fuori posto. Uno fu il seguente. Una delle prove più convincenti a favore della teoria del Big Bang fu la scoperta, occorsa per caso, della radiazione di fondo che permea uniformemente tutto l'Universo. Infatti, condizione necessaria dell'occorrenza del Big Bang è l'esistenza di quella radiazione di fondo: una piccola percentuale dell'effetto-neve che si osserva in una Tv accesa e non sintonizzata in alcuna stazione è a essa dovuta. Se però essa è - come sembrava essere - distribuita in modo perfettamente uniforme, allora la materia nel brodo primordiale del Big Bang doveva essere distribuita altrettanto uniformemente. Ma noi sappiamo che l'uniformità di materia non poteva essere perfetta: dopotutto, essa è oggi localizzata, dentro uno spazio altrimenti vuoto, in grappoli di galassie che devono aver cominciato a formarsi in qualche momento dell'espansione. Insomma, se la radiazione cosmica di fondo è necessaria per promuovere il Big Bang a vera teoria scientifica, la distribuzione uniforme e isotropa di quella stessa radiazione mette in pericolo l'intera teoria.
La determinazione precisa delle caratteristiche e della distribuzione spaziale della radiazione cosmica fu il risultato di un colossale progetto avviato dalla Nasa nel 1974 e i cui risultati, ottenuti nel 1990 e pubblicati 2 anni dopo, sono la motivazione del Nobel 2006 per la fisica, assegnato a John C. Mather (il responsabile dell'intero progetto) e a George F. Smoot. Fu quest'ultimo che «salvò» la teoria del Big Bang determinando che la radiazione cosmica ha quel grado di anisotropia che serve per garantire che circa 300.000 anni dopo il Big Bang alcune parti dell'Universo fossero pochi millesimi di percentuale più dense che altre.

Rendiamo quindi il dovuto omaggio a Mather e Smoot per aver traghettato la cosmologia dall'universo della speculazione filosofica a quello delle scienze esatte. Rimane ancora da capire cosa induceva quel processo di addensamento. Ma questa è un'altra storia.

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