Esplosivo, colorato, divertente, il «Safari Tour» di Jovanotti arriva a Roma il 17 e 18 maggio (Palalottomatica ore 21). Sembrano distanti anni luce i tempi in cui un giovanissimo Lorenzo Cherubini esplodeva nelle radio e in tv con Gimme five. Oggi, ventanni dopo, il nuovo disco Safari conferma la maturazione artistica straordinaria di quello che è ormai un consolidato punto fermo della musica italiana.
Quale preparazione richiede uno show così faticoso?
«Beh, potrei dirti che il mio preparatore atletico è lo stesso di Fernando Alonso, che mi fa un bibitone con integratori e sali minerali. Ma questo è uno show davvero faticoso
Come tutti i miei live dopo tutto, perché questo il mio modo di propormi. Faccio molto sport, vado in bici, mi alleno: finché reggo».
Novità per le date romane?
«Ci sarà il grande Michael Franti, il musicista e compositore afro-americano leader degli Spearhead che aprirà le date, e poi dentro al concerto faremo una megaversione di Mani libere 2008. Michael sta uscendo con il suo nuovo album (bellissimo) e ci divertiremo un po sul palco. Poi saranno due ore e mezzo pazzesche, un vero spettacolo totale con luci, videowall, immagini, una cosa difficile da descrivere».
Quante sono le persone impegnate in questo suo tour?
«Il Safari Tour è una produzione da 150 persone, e le prove di questo spettacolo sono state un periodo eccezionale. È uno spettacolo concept che si stacca dal concerto solito a base di scaletta/cantante/luci: questa è una storia nuova, è un vero Safari, un viaggio che inizia e non sai dove ti porta. E in questi giorni è una grande soddisfazione leggere che la costruzione di questo concerto funziona».
La band è uno dei punti di forza della sua musica. Quanto influenza il suo modo di comporre?
«Dal vivo la band è qualcosa di impressionante! Le due batterie sono un treno vero e proprio. I ragazzi sono fondamentali per la nascita e la vita di un mio brano, e io lavoro molto a fianco dei musicisti. Magari lancio un input sullo stato danimo che vorrei venisse fuori da un pezzo e i ragazzi fanno il resto. A me piace lasciare suonare la mia band».
Come è nato il progetto di «Safari»?
«Non cè un progetto vero e proprio dove allinizio dico: "Voglio fare un disco così". I dischi prendono una forma che poi in qualche modo ti rassomiglia, assomiglia a quello che stai vivendo in quel momento. Una canzone come A te, che tante soddisfazioni ci sta dando, è nata così, mentre mi trovavo in Sudamerica, e mi girava in testa. Ha però una melodia molto italiana».
In una vecchia canzone si autodefinisce un «accumulatore di energia». «Non ho mai smesso di fare il dj. Mi piace frullare tutto, secondo lispirazione. Ma non solo con i suoni, anche con i video, le immagini, le citazioni letterarie o cinematografiche. Io a quattordici anni mi sono innamorato della musica e non ho fatto altro.
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