Politica

L’addio all’angelo Mirko «Non lasciamo solo il papà»

nostro inviato

a Casatenovo (Lecco)
L'imponente furgone funebre, crudelmente smisurato per quella minuscola bara bianca ricoperta di rose altrettanto candide, scivola lento sotto il sole cocente, lungo le strade a saliscendi che solcano i prati verdi della Brianza. Addio per l'ultima volta, Valporta, frazione di Casatenovo! L'ultimo viaggio è verso il cimitero di Arcore.
Su quelle stesse strade, tempo cinque anni - «Guarda papà, vado senza mani» -, il piccolo Mirko avrebbe dato le sue prime pedalate in bicicletta. Su quelle stesse strade, da adolescente, si sarebbe sfidato con gli amici «a chi impenna il motorino più a lungo». E su uno di quei prati verdi e morbidi, una volta diventato uomo, in una calda sera d'estate come queste avrebbe potuto stringere e baciare il suo primo amore. Ma la strada della vita di Mirko Magni si è fermata invece prima, troppo prima. Una frenata brusca, violenta, assurda, che gonfia gli occhi della gente di questo borgo dove tutti si conoscono e dove nessuno, ancor oggi, riesce quasi a credere che sia successo proprio lì, accanto a loro. Gente seria, composta, quella di Brianza. Perché qui, davanti e dentro alla chiesa di San Carlo, a Valporta, per l'estremo addio a questa piccola vita spenta proprio da chi l'aveva messa al mondo, ieri c'erano soltanto uomini e donne per bene. Nessuna traccia di quelli che «dai sorridi che gh'è la televisiun». Ma soltanto quelli che pregano, quelli che si commuovono, quelli che piangono. La «televisiun», miraggio fatuo e luccicante che forse ha sconvolto la mente di Maria Patrizio, la mamma di Mirko che mentre incartava biove e michette nel negozio di panettiere sognava di apparire e di diventare famosa, c'era anche ieri a Valporta. Ma è dovuta restare fuori dalla chiesa, in attesa sotto il sole. Gente seria, appunto, quella di Brianza. Tutta raccolta, stretta stretta, attorno a papà Kristian, un giovane uomo distrutto due volte, perché dopo aver perduto il figlio comincia forse a capire di non avere più nemmeno la moglie. «Ora dobbiamo stargli vicini - parla per tutti un suo amico. In due ore ha perso tutto». E si mettono in fila per abbracciarlo - uomini, donne, ragazzi, anziani - prima che inizi la messa funebre in questa chiesa moderna - vetrate a mosaico colorate, ampi spazi, tanti spigoli - uguale a tante altre sorte da queste parti per raccogliere le anime dei borghi venuti su o cresciuti grazie al lavoro, in mezzo a un mare di villette rosa, verdi e gialle griffate dai geometri. Gente seria, quella di Brianza. Tra quelli che si affrettano verso la chiesa, dopo aver parcheggiato a centinaia di metri di distanza, i più declinano con un gesto della mano l'invito dei cronisti a rilasciare una dichiarazione, si schermiscono al primo apparire di una telecamera, scostano con garbo o con fermezza i microfoni, lanciano occhiate gonfie, rosse ed eloquenti. Come a dire: «Che diamine, non è una festa, questa è una tragedia che ci tocca tutti». Poi, dentro, prima che la funzione abbia inizio, davanti al piccolo feretro inondato di fiori e su cui è stata appoggiata la scritta «Mamma e papà», a prendere la parola per primo è Giuseppe Merisi, vicario episcopale e vescovo ausiliario della diocesi di Lecco, che legge un messaggio inviato dall'arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi. Poche parole, poi inizia la Messa celebrata dal parroco di Casatenovo, don Franco Balzarini, la «loro» Messa, quella «della» e «per» la gente di qui. E qui, infatti, c'erano lo ieri, l'oggi e il domani di questo borgo, ovvero i vecchi, gli adulti e i bambini, tutti ugualmente straziati dal dolore e sfiancati dal caldo, rigati dalle lacrime e inzuppati dal sudore. «Nostro Signore - ha ricordato il parroco - non ha rifiutato nulla della nostra umanità, nemmeno quegli scarti che noi gettiamo via con disgusto, le nostre piaghe e le nostre miserie, le paure e le debolezze, i pesi e le fatiche e perfino le infamie umane». E noi ora, ha aggiunto, «preghiamo per i genitori di Mirko, perché possa un giorno riaprirsi il loro orizzonte con la luce dell'amore e della vita. Questa grande sofferenza ci induca ad aprire questo cuore alla confidenza in Colui che sa leggere in fondo alle anime, che comprende quanto patisce la sua creatura, che sa perdonare gli errori umani, che rialza chi è caduto, che rimette in cammino lo sfiduciato».
Parole semplici ma «alte». Poi, quando la minuscola bara è uscita di nuovo sotto il sole abbacinante, per compiere l'ultimo viaggio, dalla folla non si è levato il solito, sciocco e irritante applauso a cui ci ha abituato da qualche anno la «televisiun».

Appunto, gente seria quella di Brianza.

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