L’altra RESISTENZA

L’altra RESISTENZA

Archiviati, si fa per dire, i tragici fatti degli anni dal ’43 al ’45, tra i quali la drammatica esplosione di San Benigno (10/10/44) cui ho dedicato un articolo, vorrei oggi riportare tre episodi relativi al periodo finale del drammatico conflitto e dei quali, sono venuto a conoscenza, vivendoli in prima persona.
Da buon osservatore ho notato, nelle pagine del «Giornale» di alcuni giorni fa, un episodio che è avvenuto nel corso della lotta contro gli occupanti tedeschi. La strage compiuta da partigiani italiani cosiddetti «rossi» nei confronti di altri partigiani di «centro».
Però prima di iniziare il racconto del quale sono stato testimone, vorrei fare una breve considerazione. Le vicende spagnole, della terribile «guerra civile», si erano concluse da pochissimi anni (1939). Avrebbero dovuto essere ben presenti a chi viveva in quel periodo. Ed invece, grazie ai proclami di Radio Londra e all’odio accumulato nei confronti del Regime, che ci aveva spinto alla guerra. Dopo poco tempo, si è rivelata drammaticamente sbagliata scoprendo la nostra totale impreparazione. Ma, dico io, agli errori di valutazione iniziale, si sono aggiunti gli errori commessi dal Re e Badoglio che ci hanno portato a combattere (come al solito?) contro gli alleati iniziali. Mai, dico mai, avremmo dovuto cadere in una guerra fratricida della quale ancora oggi, dopo sessant’anni, continua a creare discussioni e rivalità. Può dire quello che vuole il nostro Presidente che continua ad invitare gli italiani alla concordia. Io ho in merito una semplice opinione: finché non saranno morti tutti coloro che sono nati dal 1915 al 1935 e i loro figli e parenti stretti, credo che sarà impossibile parlare di pacificazione generale.
Per quello che riguarda il Re e Badoglio, vorrei solo aggiungere, che il loro comportamento è stato semplicemente l’opposto di quello che deve fare un governante che ha responsabilità verso il proprio Paese. Sono fuggiti come dei ladri lasciando la nazione nel peggiore dei caos.
Tanti reali, che sedevano sui rispettivi troni in nazioni che vanno dal Belgio all’Olanda, dalla Danimarca alla Norvegia, per citare le più importanti. Risolta l’occupazione, nel corso della quale sono stati internati nei loro palazzi, hanno ripreso la loro carica e tuttora sono al loro posto. I nostri, con la loro fuga hanno pregiudicato il loro futuro e quello della loro Nazione. Solo la storia potrà dargli ragione? O, come penso io, saranno condannati!
Ed ecco l’accaduto. È la mattina del 23 aprile ’45. All’alba prendo il Filobus 30 alla Foce per recarmi al lavoro in largo Roma (attuale Largo Lanfranco). Nella notte avrebbero dovuto finire di stampare i volantini relativi al famigerato episodio di San Benigno. All’arrivo in Stabilimento provvediamo subito alla distruzione dei volantini stessi. Nel frattempo, viene a mancare la corrente elettrica. Tutto il personale è fuori dallo Stabilimento. Alcuni di loro facevano parte dei GAP (Gruppi Azione Patriottica) che occupavano il centro della città con una sorta di comando all’Acquasola. Armati di fucili della Prima Guerra Mondiale con un semplice fazzoletto al braccio. Sembravano l’esercito di «franceschiello».
Tra questi c’era un «linotipista» addetto al «Nuovo Cittadino». Un veneto che ai suoi compagni aveva confessato la preoccupazione per sua figlia diciannovenne che amoreggiava con un milite di leva della «Guardia Nazionale Repubblicana». I compagni d’arme riferiscono subito ai «capi». Conoscevano l’indirizzo del loro compagno. Tre di loro vanno a casa, nella mattinata stessa, in Distacco Piazza Marsala a non più di 200 metri dall’incauto amico. Con una banale scusa, prelevano la ragazza che, credendo di rivedere il ragazzo, va subito insieme ai tre amici del padre.
La madre preoccupatissima, subito dopo, scende in piazza Corvetto ed esterna al marito la sua apprensione. L’operaio va subito al comando dell’Acquasola: nessuno sa niente. A questo punto va anche al Comando del CNL che si era installato all’«Hotel Bristol». Nulla.
I due genitori sono disperati. Il «Cittadino» aveva ripreso, nel frattempo, le pubblicazioni e il padre doveva lavorare, ma con la disperazione nel cuore.
Il 27 aprile arrivano a Genova gli Alleati. Sempre nulla.
Ai primi di maggio arriva per posta una cartolina del Comune, Ufficio Pompe Funebri; non era che un semplice permesso di sepoltura. La povera ragazza uscendo di casa aveva portato con sé la borsetta ove dentro si trovava il Documento di Riconoscimento. Si è venuti a sapere che era stata trovata, insieme ad almeno altri 14/15 cadaveri, di più o meno, giovani ragazze. Avevano visto i loro carcerieri e con l’arrivo degli Alleati bisognava sopprimerle; i morti non parlano!
I genitori sconvolti e distrutti. Nessun commento!
Un’altro brevissimo ma tragico episodio. Sono trascorsi pochi giorni dall’arrivo degli alleati. I mezzi di trasporto non funzionano ancora regolarmente. Esco di casa (Corso Torino) per andare a piedi in Stabilimento verso l’una e mezzo del pomeriggio. All’inizio di via XX Settembre distinguo un paio di colpi di arma da fuoco. Ritengo si tratti di pistola. I colpi sono partiti dal Palazzo dove si trova il grande negozio di «Prini». Il Direttore era al secondo piano per mangiare un boccone e riprendere il lavoro. Nel contempo sente i colpi, esce dall’Ufficio e scende le scale. Per sua disgrazia nello stesso momento che tre «neri» salivano le scale per vedere di agguantare chi aveva sparato. Incontrano l’uomo che si precipitava giù dalle scale. Non ci pensano un minuto e con una sorta di «daga» colpiscono il disgraziato staccandogli quasi la testa! Il corpo lo portano in strada e - impassibili - risalgono sulla jeep e via. Anche qui nessun commento.
Sono due episodi significativi dei quali sono stato testimone e che mi portano a ripetere che: «La guerra non è certo una scuola di virtù».
Infine vorrei portare a conoscenza dei lettori del «Giornale» un episodio «tragicomico» accaduto nella Primavera del ’45 poche settimane prima della conclusione del conflitto.
Il perché di «tragicomico». Dopo tanti drammi che vanno dagli attentati e alle conseguenti «decimazioni» e dalle incursioni aeree alle tragiche esplosioni ed a episodi di violenza, dei quali si sarebbe chiaramente potuto farne a meno, vorrei raccontare un episodio che può portare ad un sorriso anche se, ovviamente amaro. La particolarità dell’episodio in questione è che, nessuno potrà mai parlarne, in quanto sono forse rimasto l’unico vivente, che è stato testimone dell’accaduto.
Dicevamo, gli Alleati effettuavano ormai esclusivamente attacchi per colpire vie di comunicazione, stazioni e tutto quello che poteva essere utile alla ritirata tedesca che era già iniziata dopo la rottura del fronte. In questi attacchi usavano farsi precedere da lanci di volantini che avvisavano la popolazione di allontanarsi dai possibili obiettivi degli attacchi.
L’Ufficio Propaganda Tedesco fece un pensierino: «Perché non lanciamo volantini sul Centro di Genova a firma del Comando Alleato per avvisare di tenersi lontani da obiettivi possibili quali il Ponte Monumentale e la zona della Stazione Brignole». È ovvio che lo scopo è di mettere in cattiva luce le iniziative degli Alleati con attacchi nel centro città.
Commissionano alla Tipografia volantini dove il contenuto è, tra le righe, minaccioso e di ammonimento verso i cittadini del centro città.
Dopo due giorni il sottoscritto, con il nostro fattorino e una carretta, trasferiamo i pacchi contenenti i volantini incriminati, in Piazza Dante. Grattacielo, 30º piano.
Assieme ai militari arrotoliamo i foglietti e li introduciamo entro i razzi svuotati e sistemati sulle ringhiere del terrazzo. Alcuni verso Piazza Dante e Ponte Monumentale, altri in direzione Piazza della Vittoria con alzo superiore.
Telefonata per far partire dal porto un paio di idrovolanti. Fare un po’ di rumore simulando gli aerei che volando lanciano i volantini. Contemporaneamente, altra telefonata, alla centrale antiaerea che suonasse l’allarme. Pochi minuti e gli «artificieri» spedivano, con bei botti, i razzi che esplodendo facevano piovere i foglietti di carta. Tra il rumore dei due aerei e gli scoppi dei razzi la gente per strada si precipitava nei rifugi. È quello che si voleva.
Dopo una mezz’oretta cessano i botti e dopo un’altro quarto d’ora il cessato allarme.


La cosa più amena è che un volontario dell’UNPA è rimasto ferito ad un piede da uno strano oggetto metallico che era piovuto dal cielo in prossimità del Ponte Monumentale!
Il commento di un’articolo comparso sul «Lavoro» all’indomani: «Incursione rapida di soli ricognitori per lancio di volantini con l’intervento dell’antiaerea ed un ferito leggero per una sceggia di proiettile». Tutto qui.
Poi nulla fino alle giornate che hanno portato alla Liberazione.

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