Linvito a «parafrasare» un qualsivoglia testo letterario non è certo il modo migliore per giungere alla «comprensione» della poesia. Pazienza. Nel canto in questione, la debolezza di Dante (di Dante personaggio, non di Dante autore della Commedia) sillustra ancor prima del v. 106, là dove chiede allavo Cacciaguida di conoscere anzitempo quale destino gli si prepari. Il saperlo in anticipo gliene attenuerà quella durezza vaticinatagli da varie anime di dannati, di espianti o già beati in Paradiso: tutte e ciascuna prefiguranti la sorte dellesilio.
Infallibile poiché mira nello sguardo medesimo di Dio («il punto/ a cui tutti li tempi son presenti»), lavo menziona i regni delloltretomba in una successione per lui spontanea, dal più prossimo al più lontano: «Queste rote», il «monte», la «valle dolorosa». Ai vv. 21-23 Dante aveva citato «lo monte che lanime cura», cioè il Purgatorio, prima del «mondo defunto», ossia dellInferno. Ma ai versi 112 e seguenti ristabilisce lordine in base allesperienza che ne ha avuto: «Lo mondo sanza fine amaro», il «bel cacume», il cielo attraverso cui, «di lume in lume», va scortandolo Beatrice.
Debolezza, seppure strategica, si manifesta nel dubbio se riferire o no quanto ha «appreso» nel corso del viaggio sulle colpe e sui vizi dei contemporanei. Potrebbe derivargliene lesilio non solamente da Firenze, ma da ogni altro «loco». Qui però scatta la fierezza, lambizione del poeta a durare nella memoria della posterità: il che si consegue solo a patto di essere «non timidi amici» del «vero». Del resto in tal senso lo sprona anche Cacciaguida, accreditandone la missione etica universale.
Nella serrata concatenazione delle terzine, mai così densamente profetiche, il lessico sublime si alterna a quello plebeo, lo «specchio doro» duna mirabile similitudine alla «rogna» che la «brusca» parola del poeta susciterà negli uomini della sua epoca svergognandone le malefatte. Il «vento» della «voce» dantesca avrà una energia positiva: infine sarà «vital nudrimento» dopo che sulle prime sarà risultata «molesta» al palato di coloro che, famosi o potenti, se ne sentiranno coinvolti.
Distribuita su più canti, lanima di Cacciaguida, guerriero e martire della fede cristiana, è tra le «luci» paradisiache più mobili ed alacri fin dal suo primo apparire nel canto XIV.
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