«L’Ambrogino d’oro a McCurry? A Milano mancano benemeriti...»

Uno sguardo, quello della giovane afghana sorpresa dal felice obiettivo del fotoreporter Steve McCurry, che equivale a un simbolo: quello delle emergenze dei sud del mondo afflitti da guerre e carestie di cui a pagare il prezzo più alto sono soprattutto donne e bambini. E di cui il giornalista statunitense ha avuto il grande merito di testimoniare le silenziose grida d’aiuto. Per la sua opera divulgativa, nei giorni scorsi McCurry ha ricevuto dalle mani del sindaco l’Ambrogino d’oro, la massima benemerenza della città di Milano, che da qualche tempo viene attestata anche al di fuori dalla tradizionale data del sette dicembre. E che ormai, evidentemente, ha mutato spirito e identità originari. Il regolamento, infatti, parla chiaro: «Il Comune di Milano, interprete dei desideri e dei sentimenti della cittadinanza (...) ha il dovere di additare alla pubblica estimazione tutti coloro che, con opere concrete in tutti i campi, abbiano in qualsiasi modo giovato a Milano, sia rendendone più alto il prestigio con la loro personale virtù, sia servendone con disinteressata dedizione con disinteressata dedizione le singole istituzioni». E infatti, ogni anno, la cerimonia di premiazione vede sfilare persone famose o sconosciute, di ogni estrazione: dal presidente del Comitato delle vittime di Linate agli operai dell’Alfa di Arese, dal nonno-eroe che ha salvato due bambini da un incendio al Gratosoglio all’ex calciatore Stefano Borgonovo, fondatore dell’omonima Onlus a favore dei malati di Sla. E McCurry? A tutt’oggi, l’unico legame del fotogiornalista americano con Milano riguarda una sua mostra che avrà luogo a novembre al Palazzo della Ragione. «È una città dai mille contrasti che fatica a mostrare la sua bellezza -ha detto-. Ma camminando per le sue strade si scopre un profondo entusiasmo».
Francesca Crippa Floriani, premiata nel 2006 nella sua veste di presidente della Fondazione milanese che da trent’anni si occupa della cura di duemila malati terminali all’anno, è perplessa e lancia una domanda: «Possibile mai che oggi a Milano ci sia una tale penuria di persone benemerite da dover assegnare gli Ambrogini agli artisti stranieri? Che fine ha fatto la nostra borghesia illuminata?». La Floriani venne insignita proprio come il suocero Virgilio, fondatore dell’associazione che trent’anni fa, dopo una vita da imprenditore, decise di destinare un miliardo di vecchie lire all’assistenza dei malati di cancro. «Come spesso accade, mio suocero fu colpito dalla grave malattia di un familiare che lo portò a scoprire il vuoto istituzionale che esisteva anche a Milano nel campo delle cure palliative. La sua opera, in sinergia con l’Istituto dei Tumori e poi con la Regione Lombardia, ha permesso di costruire un modello che oggi è attivo e finanziato dal settore pubblico». Un’opera continuata dalla nuora. «Ho ricevuto l’Ambrogino sia per questo, sia perchè a Milano ho fondato una federazione nazionale che riunisce 65 organizzazioni no profit nel campo delle cure ai terminali».

Forse oggi al premio andrebbe cambiato nome? «Non so che dire, di sicuro l’Ambrogino viene da tempo strumentalizzato politicamente. Sono sicura che se nel ’97 al posto di Albertini ci fosse stato Tognoli, Dario Fo non avrebbe opposto il gran rifiuto».

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