«L’arte è un investimento ma solo se piace»

«Occorre formarsi una conoscenza frequentando aste e mostre. E poi fidarsi dei buoni galleristi...»

Esiste un mercato dell’arte? Philippe Daverio, collezionista e critico d’arte, afferma di no: «L’arte non è un bene fungibile, un Warhol non può essere sostituito con un Pollock. E nemmeno esistono “i Warhol”, ma ogni quadro di ogni artista va valutato singolarmente». Eppure ogni giorno nasce un nuovo fondo d’investimento in opere d’arte, un nuovo museo, mentre le file di visitatori alle mostre aumentano. Le aste battono prezzi da capogiro. Anche se poi accade che I campi di grano di Van Gogh, vada invenduto a New York perché non raggiunge i 28 milioni di dollari di partenza richiesti da Sotheby’s. Abbiamo chiesto a Giovanni Rubboli, grande collezionista milanese di arte moderna e contemporanea, che insieme ad altri aprirà parte della sua collezione al pubblico nelle serate organizzate per il 23 e il 24 novembre dall’Art&Business Forum di Milano, una bussola per orientarci.
Esiste, dunque, un mercato dell’arte?
«Esiste in quanto esistono gallerie, case d’asta, banche e altri soggetti che lo alimentano. Ma concordo con Daverio: ogni artista è un caso a sé e ogni opera va collocata in un suo periodo di produzione. Il nome, le dimensioni del quadro, non sono sempre una garanzia. Il mercato esiste, genera volumi d’affari interessanti, ma è vago, incerto».
I collezionisti partecipano alle aste?
«Grazie ai canali tradizionali si possono acquistare opere fuori mercato, appartenenti a privati. Ciascun collezionista in genere si appoggia a uno o più personaggi di rilievo, in grado di trovare opere in vendita e creare occasioni di acquisto».
Sono mercanti d’arte?
«Sono intermediari che non hanno un’attività economica organizzata per la vendita ma si muovono nel campo dell’arte con una molteplicità di conoscenze di alto livello».
E per l’arte contemporanea?
«Nel caso degli artisti viventi, molto spesso di giovane età, ci rivolgiamo anche noi al network delle gallerie, che insieme ai critici avalla il valore dell’artista. Oppure alla conoscenza personale degli artisti».
Lei di queste conoscenze ne ha fatte molte...
«Ho cominciato a frequentare Baj, Tadini, Pardi, Adami a Milano negli anni Sessanta. Poi Paolini, Sciao, Castellani, Pomodoro. Ero e sono loro amico e, come commercialista, anche il loro consulente fiscale. Mi hanno introdotto all’arte contemporanea. E ho cominciato a comprare. Ma bisogna comprare ciò che piace. O ciò cui ci lega un ricordo o un affetto».
L’opera che le è costata di più?
«Uno Schifano del 1970, Paesaggio TV, acquistato a un’asta per un prezzo che non le posso rivelare».
Un consiglio per chi compra per la prima volta?
«Frequentare molto le aste, anche senza comprare. E le mostre perché aumentano la conoscenza.

Leggere qualche libro d’arte che male non fa. E acquistare opere da mettere in casa. Mai opere di poco prezzo che poi un domani si possono rivelare croste. Diffidare dei mercatini se non si è più che pratici. Meglio rivolgersi a un gallerista di fiducia».

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