Politica

L’automobile diventa un lusso, vendite in picchiata

Il mercato dell’auto è uno dei migliori punti di osservazione per capire quanto la crisi stia cambiando - in peggio - lo stile di vita degli italiani. Il 2011 è stato un vero e proprio annus horribilis per il settore: con poco più di un milione e 700mila vetture immatricolate, quasi l’11% in meno rispetto a un già poco esaltante 2010, le vendite sono tornate ai livelli del 1996. Un brusco salto a ritroso. Per conferme, chiedete al gruppo Fiat (-13,5%) e al 15% dei concessionari costretti a tirar giù la saracinesca.
Sono almeno quattro anni che il mercato non «tira», a parte gli sbalzi artificiali dovuti ai bonus per la rottamazione («Infondate le voci di nuovi incentivi», ha detto ieri il presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi), ma l’anno appena trascorso ha finito per accentuare le debolezze dei consumi interni. La sobrietà dei comportamenti, ancor prima di Monti, era già una necessità imposta dal ciclo economico. L’auto è un bene durevole, mediamente costoso, che non si sostituisce come un impermeabile durante il cambio di stagione. Ma al di là dei prezzi di listino delle quattroruote, a incidere sulle scelte no shopping delle famiglie è anche il corollario crescente di rincari che in modo pitonesco avviluppano gli automobilisti. Anche quelli che si dimenticano l’auto in parcheggio. Il bollo di circolazione va pagato, l’assicurazione pure (+27% negli ultimi due anni l’Rcauto). Poi, una volta girata la chiave della messa in moto, iniziano i dolori. La sosta al distributore è un incubo peggiore di una seduta dal dentista. Un pieno costa ormai come l’estrazione di un molare: da gennaio a dicembre 2011 il prezzo della benzina è salito del 15,4%, con un aumento delle accise del 25%. Ce ne siamo accorti tutti: la verde a 1,8 euro il litro ha sfondato una vera soglia psicologica, e mandato finalmente in soffitta una vecchia battuta un po’ idiota: «La benzina è più cara? E allora? Io faccio sempre 20 euro».
I continui aumenti hanno poi quasi livellato lo spread dei prezzi, fino a non molto tempo fa sensibile, tra benzina e gasolio. L’ultima alzata di accise by Monti, 11,2 centesimi per il diesel, «appena» 8,2 per la verde, ha annullato il differenziale tra le due tipologie di carburanti. Ma mese dopo mese, è stato un continuo stillicidio di ritocchi alle accise che ha fatto salire la tassazione sul diesel di ben 21,8 centesimi rispetto ai 18,2 della verde. Un salasso, cui va aggiunto l’inasprimento dell’Iva, alzata al 21% dal settembre scorso e suscettibile di un ulteriore ritocco (al 23%) il prossimo ottobre.
La maggiore stretta fiscale sul gasolio è motivata dalla volontà del governo di allinearsi alle disposizioni dell’Unione europea, che tende a penalizzare gasolio e gas perché ritenuti più inquinanti. A voler essere maliziosi, si tende invece a colpire laddove conviene: nel 2011 in Italia sono infatti state vendute più auto diesel (il 55% delle immatricolazioni).
A conti fatti, considerati anche gli aumenti dei pedaggi autostradali e le addizionali regionali, l’anno scorso l’auto è costata 3.278 euro pro capite. In totale fanno 165 miliardi, di cui 58 miliardi solo di prelievo fiscale. Quanto basta insomma non solo per rimandare il cambio di quattroruote, ma anche per lasciare in garage quella vecchia.

Un italiano su cinque, infatti, va già a piedi.

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