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L’eroe comune che mise pace tra hutu e tutsi

Paul Rusesabagina agli altri non badava. Era il direttore dell'Hôtel des Mille Collines a Kigali, Ruanda, quando si scatenò la caccia all’uomo. E lui voleva solo salvare la sua famiglia. Fino alla mattina del 7 aprile 1994, il primo giorno del genocidio: «Vidi alcuni dei miei vicini di casa mettersi delle uniformi, armarsi e sterminare altri nostri vicini. Non avevo mai visto una cosa del genere: dovevo fare qualcosa». Quel qualcosa è stato salvare la vita di 1.268 persone, hutu e tutsi, senza distinzione, uomini e donne che volevano vivere in pace. Li nascose nell’unico posto che poteva, in un posto che conosceva bene: il suo hotel. Mentre fuori infuriava una tempesta di sangue. In più o meno cento giorni furono sterminate quasi un milione di persone, nessuno andò ad aiutare quelle povere anime perdute, non ci furono interventi internazionali, né aiuti umanitari, né spedizioni militari. Un massacro senza salvezza e senza speranza se non quella affidata alla buona volontà degli uomini come Paul Rusesabagina. La sua storia è diventata anche un film, Hotel Ruanda: «L’ho visto decine di volte ma ogni volta le ferite della memoria si riaprono e fanno male». Oggi Paul vive in Belgio, ha creato una fondazione che si occupa dei figli del genocidio, l’ultima volta che è tornato in Ruanda una folla enorme in lacrime lo ha accolto come un eroe, solo per toccarlo. Ma lui non si fida di un pace fragile e di una giustizia in libertà provvisoria: «Solo venticinque persone sono state processate per crimini di guerra. In Ruanda sono cambiati i ballerini, ma la musica è sempre la stessa». Per questo c’è chi in patria non lo può vedere. Il presidente Kagame, per esempio. Dice che approfitta della celebrità per riscrivere la storia del paese.

E Paul sorride, un po’ triste.

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