L’INTERVISTA 4 RICCARDO CHAILLY

È alla Scala oggi alle 19.30 e domani alle 20 con il Concerto n.1 di Ciaikovskij (debutto al pianoforte di Arcadi Volodos) e con la Settima di Dvorak («trascurata - dice lui - rispetto al successo dei primi del ’900 con von Bulow»), ha in agenda mille prestigiosi progetti ma in questi giorni il maestro Riccardo Chailly fa perdere il sonno a molte popstar. Il suo disco Rhapsody In Blue in coppia col geniale pianista jazz Stefano Bollani (dedicato a Gershwin) è da venti settimane consecutive nella classifica pop, (dove è arrivato all’ottavo posto, il piazzamento più alto di un disco «classico» di sempre) ed ora marcia verso il disco di platino. Ora la strana coppia prova ad uscire dai nostri confini e, a fine febbraio, l’album sarà distribuito in tutto il mondo.
Allora maestro un successo e una collaborazione che fa discutere.
«Per ha senso mettere barriere fra i generi, piuttosto si sente, e tanto, la differenza tra musica buona e cattiva: jazz e classica insieme piacciono anche ai fan del pop come dimostra la classifica. Shostakovich, Stravinskij, Ravel, lo stesso Gershwin hanno dimostrato quanto il suono sia un unicum che comprende jazz, folklore e tante altre cose. Noi abbiamo ricreato un Gershwin rigoroso ma non compiaciuto, legato a quel codice musicale non scritto ma acquisito che si chiama swing».
Però una strana coppia.
«Bollani non solo è un formidabile jazzista ma anche un vero musicista ed è questo che fa la differenza. Non basta la tecnica per eseguire il Concerto in Fa di Gershwin, ci vuole quella visione personale dell’armonia - non solo il virtuosismo, la sensibilità melodica - che solo lui e pochi altri hanno. E Gershwin, insieme a Puccini, è stato il più grande creatore di armonie. Non sono molti i pianisti di altri generi che sanno entrare nel mondo classico».
Ne ha in mente altri?
«Bisognerebbe metterli alla prova; così a occhio trovo straordinari Gonzalo Rubalcaba e Michel Camilo, o Wayne Marshall che è un grande interprete di Ellington, Bernstein, Gershwin. Ma Bollani è diverso da tutti loro. La sua debordante personalità ha fatto si che l’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia lo abbia accettato senza atteggiamento dogmatico; lui, genio e sregolatezza com’è, ha detto che suonare una settimana all’anno con l’orchestra è fin troppo, perché gli sembra di tornare in collegio».
Collaborerete ancora?
«Nell’aprile 2012 suoneremo insieme alla Scala e poi in giro per l’Europa; oltre a Gershwin eseguiremo il Concerto in Sol di Ravel».
Visto il risultato non si butterà su cose più «leggere»?
«Assolutamente no. L’1 marzo parto con la Gewandhaus per un tour in Estremo Oriente, da Tokio a Seul a TaiPei dove porto un monumentale lavoro su Bruckner. Ma non disdegno le Mille e una notte di De Sabata ricca dello spirito jazz degli anni Trenta, che farò a Lipsia il 3 settembre».
Un bel tour de force.


«Nulla in confronto a ciò che farò in ottobre: porterò le Nove sinfonie di Beethoven più 5 prime assolute a Vienna, Parigi e Londra. Quello sarà uno sforzo titanico».
Nel 2015 la rivedremo alla Scala per l’Expo?
«Stiamo trattando, non ho ancora deciso, per ora ho troppi impegni con la Gewandhaus».

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