L’Onu: il convertito afghano cerca asilo all’estero

Washington annuncia: «Sarà presto liberato». E a Kabul scendono in piazza gridando «a morte»

Fausto Biloslavo

Centinaia di persone sono scese in piazza in Afghanistan per chiedere la condanna a morte di Abdul Rahman, il convertito al cristianesimo rinchiuso nel penitenziario di Kabul, che rischia la pena capitale per apostasia. I manifestanti hanno organizzato dei cortei in almeno due città per protestare contro l’azzeramento del processo (il dibattimento riprenderà forse oggi) e contro gli Stati Uniti che, con altri Paesi, si sono schierati per il rilascio di Rahman. «Sarà liberato», ha detto ieri un portavoce del Dipartimento di Stato, senza però precisare quando. Sul caso è intervenuto anche il portavoce dell’Onu, Adrian Edwards, il quale ha confermato le voci secondo cui si prospetta una soluzione di trasferimento all’estero dell’uomo. «Il signor Rahman ha chiesto asilo politico fuori dall’Afghanistan. Ci auguriamo - ha dichiarato - che l’asilo sia concesso da uno dei Paesi interessati a una pacifica soluzione del caso».
La principale dimostrazione di ieri si è svolta a Mazar i Sharif, il capoluogo del nord, dove un migliaio di religiosi e studenti delle scuole coraniche hanno intonato slogan minacciosi come «America non interferire, Karzai (il presidente afghano, nda) rafforza la giustizia, l’apostata deve essere punito» e «Morte all’America e a Bush». A Ghazni, roccaforte pasthun nell’Afghanistan sud-orientale, non lontano dal confine pachistano, un gruppo di religiosi si è riunito davanti a una piccola folla per chiedere al governo che si impegni a punire Abdul Rahman secondo la legge islamica, ovvero ad impiccarlo.
Forse oggi ci sarà la prima udienza del nuovo procedimento contro il convertito, dopo che il processo è stato annullato per vizi procedurali. Nel frattempo Rahman è detenuto in una cella di due metri per tre con letto, materasso, coperte oltre ad acqua potabile e viveri a sufficienza. È stato invitato, anche da delegazioni di religiosi, ad abiurare il suo nuovo credo e ritornare alla fede musulmana, ma «ha sempre rifiutato chiedendo, invece, di potere avere una Bibbia», spiega il direttore del carcere.
Ieri avrebbe dovuto svolgersi la perizia psichiatrica su Rahman, ma sembra che gli specialisti nominati dal procuratore stiano ancora lavorando sulle carte dell’inchiesta per farsi un’idea del caso, prima di incontrare il detenuto. Domenica, invece, un medico ha visitato Rahman perché il prigioniero diceva di avere problemi respiratori, poi risolti con la somministrazione di alcuni farmaci.

Le autorità afghane sperano che venga attestata l’infermità mentale del convertito: ciò eviterebbe il processo e consentirebbe, dopo il rilascio del prigioniero, l’espatrio, soprattutto per impedire che venga ucciso da fanatici musulmani.

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