L’ora di islam a scuola? Una lezione di antisemitismo

Il testo base in aula sarebbe il Corano. Ma nella versione più diffusa in Italia ci sono commenti contro gli ebrei. L’altro rischio sono le interpretazioni fai da te

L’ora di islam a scuola? Una lezione di antisemitismo

Milano - Un Corano «fai-da-te». O «principi di antisemitismo». Sembrerebbe questo il destino dell’ora di islam, a giudicare dalle «lezioni» prevalenti nelle moschee italiane o milanesi, quei centri islamici che da una settimana sono nell’occhio del ciclone per l’attentato del kamikaze libico alla caserma Perrucchetti.
La comunità islamica di quella che il ministro dell’Interno Roberto Maroni considera come una sorta di «capitale del terrore jihadista», Milano, è una realtà esemplare. Ora sono in gran parte imam discussi e incontrollati a gestire, insieme al proselitismo, l’insegnamento ai fedeli - vecchi e nuovi - dei rudimenti della religione musulmana. E metodi e strumenti «didattici», si potrebbe dire, sono «tutto un programma».

Circola ormai in 400mila copie - lo annuncia la casa editrice Newton Compton - il Corano tradotto in Italia da Hamza Piccardo. Fra i fondatori e poi portavoce dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche italiane, Piccardo ha firmato un’edizione «musulmana-italiana» del libro sacro dell’islam. Un’edizione contestata per passaggi antisemiti e antiebraici contenuti anche nelle note. Passaggi come «i figli d’Israele fecero una scelta miope e meschina, ingrati verso il loro Signore». O «ipocriti ed ebrei non cessarono di accusare il profeta».
Accenti che lo stesso autore ha ammesso in seguito alle polemiche seguite all’ennesima ristampa, quella del 2003-2004, fino a doverli emendare ed edulcorare. «L’errore di cui sinceramente mi vergogno - questa fu la sua autocritica ripresa dai giornali - fu quello di avvalorare l’ipotesi secondo cui i comportamenti negativi degli ebrei nascessero dall’essere appunto ebrei». La casa editrice conferma che il volume è continuamente ristampato per venire incontro alle enormi richieste. «L’ultima ristampa - aggiungono dalla casa editrice - viaggia già sulle 40mila copie». Ma quelle edizioni hanno già inondato i centri islamici di tutta Italia. «L’Ucoii le mandava a pacchi, anche in dono», ricorda oggi Gabriele Mandel Khan, capo dei Sufi italiani (i «frati dell’islam»). Docente universitario, poeta, artista, psicologo, Mandel è il curatore dell’altra versione del Corano tradotta in italiano da un musulmano. «Il mio Corano ha versione letterale in italiano, versione in arabo e apparati teologici, filologici e storici, che sono indispensabili per capire» dice oggi Mandel. «I centri islamici seguono i loro interessi anche economici - spiega Mandel - e la versione di Piccardo è stata introdotta in molti di questi centri. Ma Piccardo non conosce l’arabo. La sua versione contiene molti errori». «Nel Corano ci sono dei passaggi antiebraici - riflette Mandel - ma il Corano va letto nella sua totalità, non un versetto alla volta. Il problema è l’ignoranza».

Certo, al di là del valore filologico, è il contenuto che può risultare inquietante, se inserito in un contesto in cui alcuni centri islamici possono risultare come «l’acqua in cui nuota» il fondamentalismo islamico. «In Piccardo ci sono passaggi antiebraici - ammette Paolo Branca, islamista dell’università Cattolica di Milano - ma anche le altre sono apologetiche. Non si può dire che abbiano un’impostazione critica, capace di evidenziare gli aspetti ambigui, contraddittori e oscuri delle Scritture, di tutte le Scritture. Si tratta di un insegnamento tradizionale, che ha come obiettivo una lettura apologetica». «La scuola dovrebbe obbedire a parametri diversi - osserva Branca - ma credo che i musulmani italiani siano i primi a sapere che non sono in grado di gestire un insegnamento scolastico. Non hanno gli strumenti, i metodi, le persone».

Nella Casa della cultura islamica di via Padova, il centro moderato della città, il Corano «preferito» dal direttore Mahmoud Asfa è quello tradotto in italiano dall’orientalista Alessandro Bausani. Invece i responsabili della «moschea» di via Stadera, sistemata in un capannone dentro un cortile condominiale, ammettono che loro usano «solo il Corano in arabo». Proprio come in viale Jenner, l’Istituto più discusso della città, quello che negli ultimi tempi frequentava Mohamed Game, il libico che si è fatto esplodere nella caserma, e che partecipava al servizio d’ordine nel corso del Radaman al teatro Ciak. «C’è un solo Corano - dice il direttore Abdel Hamid Shaari - il testo è arabo. Noi parliamo arabo e usiamo quello. Degli italiani uno vale l’altro».

Anche Ali Abu Shwaima, giordano fondatore della moschea di Segrate, non ha esitazioni: «Il Corano lo abbiamo tradotto noi, non usiamo certo le versioni curate da preti e nemici dell’islam. Non conosco la versione di Mandel, di sicuro non usiamo la sua».

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