L'embargo pesa ma la Crimea tifa ancora per Putin Finché invia soldi

Il pensiero della gente: «Non è importante essere russi o ucraini, conta solo l'aspetto economico»

Serena Sartini

da Sinferopoli (Crimea)

Il telefono segnala «Nessun servizio». I passeggeri camminano con il cellulare nella mano e gli occhi fissi sullo schermo per trovare il punto in cui ci sia campo. Nulla da fare. Nemmeno il wi-fi funziona all'aeroporto. Atterriamo a Sinferopoli, la capitale della Crimea, la più grande penisola affacciata sul Mar Nero, terra contesa per decenni tra Ucraina e Russia. Annessa con referendum nel 2014 dalla Federazione russa, ma non riconosciuta dall'Ucraina e dalla Comunità internazionale. È per questo che l'Unione europea ha imposto sanzioni a Mosca, portando alla più grave crisi diplomatica tra la Russia e l'Occidente dopo la guerra fredda.

Già in aeroporto c'è la sensazione di essere sbarcati in una «terra di nessuno». A Sinferopoli c'è l'unico scalo della regione. «È stato completamente rinnovato a maggio - dicono - in russian style». Ed è proprio questo «stile russo» che ritorna prepotentemente qua e là, nell'architettura e nella maestosità dei palazzi a casermoni che costeggiano la strada. L'altra faccia della medaglia è una mentalità dei crimeani non troppo definita: forse ancora più legata al passato «sotto» l'Ucraina. Forse più legata alla terra di Kiev. Ma parlando con la gente del luogo si capisce che non è poi così importante «se ci sentiamo più russi o più ucraini. L'importante - dicono - è l'aspetto economico». Poco conta se le sanzioni inflitte dalla comunità internazionale impediscano gli spostamenti al di fuori del territorio o rallentino il turismo. «Il primo pensiero è come va l'economia e stare bene noi. Non mi importa di viaggiare fuori dalla Crimea, amo la mia terra e non me ne voglio andare», è il ritornello ricorrente. Tuttavia, nelle elezioni russe di marzo scorso (le prime dopo l'annessione), una schiacciante maggioranza della popolazione in Crimea ha sostenuto il presidente Putin.

Per raggiungere la costa che si affaccia sul Mar Nero, verso Koktebel, Feodosia, fino al ponte di Kerc, attraversiamo buona parte della Crimea. C'è un'unica strada principale, trafficatissima, che collega le città più importanti. Intorno, il nulla. Per certi aspetti sembra di vedere il paesaggio dell'Albania poverissima di vent'anni fa. Lungo l'arteria stradale principale ci sono operai che lavorano alacremente. «I russi stanno costruendo una seconda strada - racconta Alexis, il tassista di 35 anni che ci accompagna - c'è un grosso investimento nelle infrastrutture».

La perla della Crimea resta il fascino del Mar Nero e le bellezze naturali, con paesaggi mozzafiato di rocce scoscese fino al mare che in alcuni tratti appare cristallina, in altri più scura a causa della composizione dell'acqua. I principali settori economici sono turismo, pesca, e agroalimentare, specialmente frutta e verdura. Ma la speranza è che gli investimenti di Mosca trascinino la Crimea verso una maggiore prosperità.

«Si sta meglio ora con la Russia che prima con l'Ucraina - dice Alexis - anche se prima guadagnavo 200 dollari al mese e ora ne prendo 100. Ma ci sono più prospettive». Alexis ha il doppio passaporto, ucraino e russo. «Non è un problema - spiega - basta andare di là (in Ucraina, ndr), parlare un po' male di Putin e la polizia ti rilascia il passaporto ucraino. E così puoi viaggiare sia in Ucraina sia in Russia». Eppure l'embargo pesa. Non c'è solamente il blocco dei cellulari (funzionano solo i locali, perfino le compagnie telefoniche di Mosca non sono operative), ma anche quello di alcuni siti internet. Come Booking. Se un turista vuole prenotare una o più notti in Crimea, occorre cliccare la funzione «Motivo della visita: lavoro». A quel punto, il sistema consente di procedere. Non sono ammesse le carte di credito e il pagamento si può effettuare solo in rubli. E Vladimir Putin non cede. «In nessuna circostanze - ha detto a marzo - la Russia darà indietro la Crimea all'Ucraina».

Arriviamo a Koktebel, cittadina sulla punta sud-est della penisola. È qui che ogni anno, a fine agosto, si tiene il più grande festival di jazz della zona. Musica sulla spiaggia, con un'atmosfera davvero suggestiva. E non si tratta solamente di un evento musicale. È la «diplomazia delle note» che lancia messaggi politici forti e chiari. Anche se il fondatore, Dmitry Kiselev, ci tiene a precisare che «non c'è politica nel jazz. Vogliamo solo fare musica - afferma - e questo evento unisce popoli e culture». Ma la bordata politica arriva presto.

«Abbiamo sul palco delle band americane - dice - non abbiamo annunciato i nomi in anticipo per evitare che accadesse come gli scorsi anni, quando alcuni musicisti Usa furono invitati dal governo americano a non partecipare all'evento, pena reazioni di Washington. Alla fine, i musicisti furono costretti a non venire». Le sanzioni? «Sono assurde, non hanno senso», risponde secco Kiselev.

Giungiamo a Kerc, la città più antica della Russia, fondata 26 secoli fa. La terza più grande della Crimea. Viaggiamo con Arten, tataro (il gruppo etnico di origine turca dell'Europa orientale e della Siberia). Ha due figli, la moglie dottoressa. Da tre generazioni crimeano, alla domanda su come si vive qui, lui sorride e risponde: «Si guadagnava di più sotto l'Ucraina». Sullo specchietto retrovisore è appeso un ciondolo con il Corano, la musica tradizionale russa fa da sottofondo. «Qua devono costruire un'altra moschea - indica con la mano - quando ci saranno i soldi, perché i musulmani pagano per le loro moschee». E al referendum del 2014 come andò? «Io non ho votato - ribatte Arten - ma non c'è stata alcuna guerra né invasioni. Non credete a quello che vi dicono. Era tutto tranquillo».

Percorriamo il ponte di Kerc, una struttura faraonica fatta costruire da Putin e inaugurata a metà maggio. Un investimento di 3,7 miliardi di euro, 27 mesi di lavoro: con i suoi 19 chilometri è il ponte più lungo d'Europa; nel punto più alto arriva a 35 metri. Collega Kerch a Taman, nella regione di Krasnodar, allungandosi sullo stretto che collega il Mar Nero con il Mare d'Azov.

Il cellulare italiano comincia a suonare. Stanno arrivando decine e decine di messaggi «bloccati» per i giorni di permanenza in Crimea. Qui c'è segnale. E c'è anche il messaggio che recita: «Benvenuto in Russia».

Il ponte è un progetto di altissimo valore simbolico, fortemente voluto da Putin sia per alleviare l'isolamento della Crimea sia per tentare il rilancio dell'economia, in particolare del settore turistico. Progetto che però avvelena ulteriormente i rapporti con l'Ucraina e la comunità internazionale, che non riconosce il «ritorno alla madrepatria» della penisola che, in epoca sovietica, fu ceduta all'Ucraina. «Il ponte viola le leggi internazionali», ha dichiarato il premier ucraino, condannando l'apertura della struttura. «I russi sono la potenza occupante, che occupa temporaneamente la Crimea e continuano ad agire fuori dal quadro della legge internazionale».

Ma il capo del Cremlino va avanti. E nel 2019 aprirà anche il ponte ferroviario. La risposta di Ue e Usa è stata immediata: inseriti nella black list delle sanzioni anche società e personalità coinvolte nella costruzione del ponte.

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