Milano per Renzo Piano è come «Genova per noi, unidea come unaltra» secondo la celebre canzone di Conte. Forse è per questo motivo che il capoluogo lombardo gli dedica una mostra alla Triennale dal titolo «Le città visibili» rovesciando il titolo del celebre romanzo di Italo Calvino «Le città invisibili», amico e scrittore preferito dallarchitetto ligure. Settantanni, dopo avere parlato per due ore sotto il sole cocente del Campus della Bovisa a tremila studenti seduti a prendere appunti nel prato, Piano si è presentato allinaugurazione delle sue «città visibili» fresco come una rosa e con la calma che lo contraddistingue. Ad aprire la mostra il presidente Davide Rampello sostenitore di unarchitettura che si vive ma che per descriverla occorre un codice. «Con Piano è più facile lui ha già realizzato la sua arte in codici diventati cifre, dettagli che sviluppano un rapporto empatico con il pubblico, forte, inedito». Lassessore Vittorio Sgarbi ha sottolineato limpegno di Piano per riprogrammare Sesto San Giovanni «una città che sarà visibile nelle sue aree ex fabbrica. Dal Beaubourg come pompiere con Rogers ad architetture sempre più austere come il New York Times, la Morgan Library di New York e gli altri edifici in America, nuovi, coraggiosi». «Dopo l11 settembre cera il rischio di chiudersi di fare dei cubi - ha detto Piano - invece i miei edifici sono stati accettati aperti, trasparenti, sospesi sul verde. Come qui nel palazzo di Muzio che rivaluto sempre più, un tempo non amavo le architetture fasciste, la luce dà senso e corpo e fa librare oggetti e architetture aeree. La prima cosa che ho fatto è stata quella di aprire tutti i finestroni...». Scheletri, costole. La visione di Piano ha la stessa idea che aveva Hemingway del romanzo, ovvero, la teoria delliceberg «ciò che si vede, ciò che appare, non è più importante di quello che vi sta dietro e che rimane nascosto - ha detto - eppure lo giustifica e lo rende possibile». Ma ciò che colpisce di Piano è quellapparente svagatezza, lo sguardo sempre rivolto verso lalto come nella foto di Annie Leibovitz che fa da immagine guida della mostra e del catalogo edito da Electa mentre accompagna giornalisti e visitatori. «Devo ringraziare i miei maestri, Franco Albini e Jean Prouvè che mi hanno insegnato larchitettura della leggerezza. Albini era un genio, ma anche un vero artigiano ricco di fantasia. Ho fatto un po di esperienza anche con Zanuso». Un ultimo ricordo è andato alla sua Genova dove fino da bambino guardava il porto dove tutto è «leggerezza»; le navi, i container sollevati, alzavano persino gli asini, i gabbiani volavano.
«Anche se mio padre era costruttore e in un primo tempo lo sono stato anchio ho capito che il mio mestiere è unarte, musica come quella del mio amico Berio scomparso, al quale ho dedicato un angolo della mia mostra. Cè persino una tromba, una volta la suonavo anchio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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