Lippi va a Madrid, se n’è accorto anche Rossi

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«Al mio leale avversario in campo, McBride, ho già chiesto scusa subito, alla fine della partita. Ora voglio chiedere scusa alla Fifa perché con il mio gesto ho leso l’immagine del calcio mondiale, non solo della mia nazionale e della mia federazione». Comincia così la lettera-testimonianza preparata dai funzionari della federcalcio a firma Daniele De Rossi, l’autore della gomitata, che infiniti problemi provocò alla partita con gli Usa e alla qualificazione azzurra tornata in bilico, col pareggio di Kaiserslautern. Sparita, per fortuna, dalla ricostruzione del giovane romanista la frase fatta circolare lunedì sera e rimbalzata sui giornali italiani («Ditemi se in Italia un calciatore non salta come faccio io»). Avrebbe avuto il senso letterale e politico di un altro autogol nei confronti del calcio italiano, di suo già abbastanza chiacchierato, e dei suoi costumi discutibili anche dal punto di vista regolamentare. Così non si salta e basta, caro De Rossi, né a Roma né a Kaiserslautern.
Fondamentale anche la chiosa relativa all’atteggiamento della federcalcio italiana in materia. «I miei dirigenti mi hanno comunicato che intendono accettare serenamente il responso della commissione disciplinare e non intendono perciò opporre alcun ricorso. Io ho condiviso questa scelta» chiude la lettera di De Rossi che tende a ottenere un minuscolo sconto dalla stangata in arrivo. C’è infatti una tendenza molto autorevole, nel circuito della Fifa, per infliggere all’azzurro 5 giornate di squalifica e decretare perciò di fatto la fine del suo mondiale. Le diplomazie sono al lavoro da molte ore per evitare il massimo della pena. A quel punto il romanista dovrebbe tornarsene a casa. La Fifa punta a questo: alla squalifica esemplare, che sia di monito per tutti.
Nel frattempo il caso De Rossi scava subito un solco tra la Roma e il club Italia. Dalla capitale arriva infatti una frase malmostosa di Bruno Conti, che pure è un noto campione di un altro calcio, esponente di spicco dell’Italia mondiale di Bearzot, oggi personaggio simbolo della Roma di Sensi. I passi polemici sono due: «Nessuno tocchi Daniele e la sua famiglia, ha commesso un errore ma non deve diventare il capro espiatorio», il primo. Come dire non è colpa sua se è andata così contro gli Usa. Il secondo è un affondo inatteso: «Qualcuno in federazione ha esagerato». E qui nel mirino finiscono Giancarlo Abete, il capo delegazione, e Marcello Lippi che pure ha usato toni morbidi e una frase a effetto, «deve bollire nella pentola che è sul fuoco». Sono gli unici due che hanno messo becco nella vicenda. Chiusa, tra l’altro, dal diretto interessato, McBride, che dal ritiro americano manda a dire: «Con De Rossi è tutto a posto, questione chiusa».
Non è proprio così. Perché il «nessuno tocchi Caino» invocato da Bruno Conti viene raccolto al volo da Francesco Totti, puntuale nel prendere la parola sul diario pubblicato da uno sponsor che ne raccoglie lo sfogo. Se la cava con la storia del bravo ragazzo e della solidarietà, «viene da una famiglia che conosce i valori sportivi» aggiunge e tifa perché la Fifa si produca in una lieve sanzione.

Alla fine della fiera e in attesa del verdetto, previsto per il 23, il giorno dopo la sfida di Amburgo, la chiosa più razionale appare firmata da Andrea Pirlo. Che tra la gomitata di De Rossi e l’intervento sulle caviglie di Mastroeni punta il dito sull’americano: «Avessi avuto la gamba rigida, mi avrebbe spaccato tutto».

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