Tiziana Paolocci
Labbattimento delle liste dattesa resta un miraggio. La riforma Bindi, invece, un fallimento. Avrebbe dovuto garantire ai cittadini appuntamenti in intramoenia qualora gli ospedali non fossero riusciti a fissare visite e prestazioni entro i tempi massimi previsti. Ma questo non accade mai. Ai romani, quindi, non resta che rivolgersi ai privati. Le strutture pubbliche, infatti, sono proibitive. Per una mammografia bilaterale presso lAsl RmH, ad esempio, ci sono 530 giorni di attesa: prenotando oggi si farà lesame a novembre 2006. Per la stessa analisi al San Camillo ci vogliono 201 giorni, 122 allAsl RmD e fortunatamente solo 17 alla RmF, dove però si aspettano 233 giorni per una Tac total body. I dati dellindagine promossa da Cittadinanzattiva-Tribunale dei diritti del malato (Tdm) dal 10 al 20 maggio presso i centri unici di prenotazione delle principali aziende sanitarie ed ospedaliere del Lazio fanno venire i brividi. Fa rabbrividire poi il fatto che in molti nosocomi le liste dattesa sono addirittura bloccate. Questo accade per una mammografia o per unecografia alla mammella al San Giacomo, al SantAndrea e al SantEugenio, per un ecodoppler allAsl RmE e per una visita urologica al Pertini.
«Bloccare gli appuntamenti - denuncia Giuseppe Scaramazza, segretario regionale di Cittadinanzattiva-Tdm - non solo è un atto di grave inciviltà ma è anche illegale. Per questo presenteremo una diffida alle Asl interessate. Se entro quindici giorni non riapriranno le liste, daremo seguito ad azioni legali più impegnative». Lillegalità del comportamento delle aziende sanitarie è sancita dalla delibera regionale 693 del 2004 che recepisce una normativa nazionale e prevede il divieto assoluto dello stop agli appuntamenti, che devono essere garantiti sempre e comunque anche nel caso in cui i tempi superino quelli massimi fissati dalla Regione per una determinata prestazione». Le Asl, inoltre, dovrebbero rendere note al cittadino le attese massime fissate dalla Pisana per ciascun esame. Ma questo non accade mai, forse perché non fa comodo far sapere allutente che se unazienda non è in grado di garantire la prestazione entro il tetto previsto, il cittadino ha il diritto di richiedere lesame o la visita in intramoenia, lattività libero professionista dei medici allinterno degli ospedali e di richiedere il rimborso della spesa al netto del ticket allazienda stessa, che ha il dovere di coprire quelle spese. In questo modo il cittadino sarebbe tutelato e lazienda incentivata a smaltire le attese.
«Le Asl adottano un comportamento doppiamente illegittimo - dichiara Lucia de Guidi, uno dei legali di Cittadinanzattiva -. Da una parte, infatti, violano la norma che vieta il blocco delle prenotazioni, dallaltra utilizzano questo escamotage per non dover documentare la lunghezza dei tempi e impedire così alla gente di far valere il diritto di richiedere il rimborso per una prestazione in intramoenia».
Lassociazione per tutelare lutenza ha messo a disposizione in questi giorni sul sito www.cittadinanzattiva.it un modulo per richiedere alle Asl lautorizzazione ad un esame diagnostico o una visita specialistica in intramoenia o nel privato, senza aggravio di costo per il paziente.
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