La «Locandiera» fustiga l’inferno metropolitano

A Torino con Mascia Musy revival della storica edizione del 1986

Enrico Groppali

Quando Giancarlo Cobelli, vent'anni fa, afferrò La locandiera che già Missiroli, nella sua versione pessimista e dark, aveva tramutato in un'insolente bottegaia uscita dal Ventre di Parigi di Zola col suo albergo ridotto a una bisca dove, da una camera all'altra, si consumavano le miserabili tresche degli aristocratici d'accatto, senza saperlo si ispirò a William Hogarth e a Karl Marx. Dal primo mutuò la decadenza della carriera del libertino, adombrata nella quadreria del Soane Museum, dal secondo derivò la teoria dell'ascesa della borghesia prima del tracollo finale. Con un'attenzione particolare all'etica del lavoro intesa come religione del profitto esercitata in prima persona da Mirandolina.
Oggi riprendendo la spinosa materia che si affaccia sotto le trine di una Firenze (e di un Settecento) che scorgiamo di striscio attraverso il comportamento dei clienti e di chi serve le loro patetiche dissipazioni, il regista fa compiere alla mirabile commedia una decisa rotazione verso il basso. Quasi la locanda fosse la sede di ogni inferno metropolitano, Mirandolina una sorta di Madame Frochard estratta pari pari dalle Due orfanelle, Fabrizio lo stolido garzone umiliato dalla protervia sessuale della femmina emancipata e gli altri avventori nient'altro che sinistre caricature di un mondo avviato alla decomposizione.
Ne deriva uno spettacolo magari discutibile nella riduzione del gioco salottiero cui l'incantevole Mascia Musy, sfoggiando crinoline e parrucche da Pompadour in disarmo, sottopone le sue vittime giocando con grande virtuosismo al beffardo degrado delle apparenze ma superbamente compensato dallo spessore delle intuizioni e dall'intelligenza critica che ne detta l'alto formalismo.

Dove, nel bellissimo spazio scenico di Alessandro Ciammarughi, l'Ortensia corrotta di Alessandra Celi è un'eco sinistra di Sade, il marchese vanesio estrosamente disegnato da Paolo Musio, il conte parvenu di Massimo Cimaglia e la cupa nevrosi del Ripafratta di Francesco Biscione si collocano con rara maestria nell'ottica esasperata e feroce del Romanzo Nero.

LA LOCANDIERA - di Goldoni Stabile del Veneto-Teatro Moderno-Europa Duemila. Regia di Giancarlo Cobelli, con Mascia Musy. Torino, Teatro Carignano, da oggi al 12 marzo

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