LEden laveva trovato quel marpione di Mogol, che in fondo ha lanimo dun Cincinnato: un mulino fatiscente, da riattare e farne un cenacolo per giovani artisti, incastonato tra boschi e prati nella campagna di Erba, in quel di Como. Così la Numero Uno, letichetta fondata da lui col padre Mariano Rapetti, grande musicista, e con Lucio Battisti, era diventata non solo una fabbrica di hit canori, con Lauzi, la Formula Tre, la Pfm, Edoardo Bennato, Ivan Graziani, Adriano Pappalardo, ma un vivaio decologia ante litteram, e anche una categoria dello spirito. Insomma un posto dove «si parlava col cuore e col cuore si guardava al futuro», scrive Cesare Monti, fotografo prediletto da Battisti e autore di tante sue copertine, in questo Lucio, smagliante volume della Rizzoli in cui lautore non solo rievoca, con pensieri e parole, Battisti e altri grandi dellepoca, ma ritrae lepoca stessa: quel lungon brivido di fantasia, idealismo, creatività che furono, almeno in musica, gli anni Settanta.
A far conoscere Battisti a Monti provvide il fratello di questultimo, Pietruccio dei Dik Dik. Donde la collaborazione tra il fotografo e il musicista, e unamicizia che - nota Antonio Dipollina nella sua prefazione - non soffrì della differente estrazione dei due: Lucio, disimpegnato a oltranza, e Cesare, cresciuto a Re Nudo, Area, Jannacci/Fo.
Quando poi, nel settembre 98, Battisti morì, Mogol andò a trovare Monti, e i due passarono unintenerita serata a guardare vecchie pose di Lucio. Fu allora che venne a Monti lidea di questo libro, che esce a distanza di nove anni e, oltre alle celebri copertine battistiane, ci mostra molte immagini meno note o ignote dellautore di Emozioni. Spesso scattate nei dintorni del mulino di Erba, in quella cornice georgica cara sia a Battisti sia a Mogol. Ecco dunque la densità grassa e tuttavia metafisica di certe foto notturne, le più magiche. Ma anche Lucio ripreso su prati assolati, o nel suo insospettato côté clownesco: mentre fa boccacce o inventa mimiche sgangherate, su sfondo di ruderi. Ché gli uffici stampa della discografia, puntualizza Monti, reclamavano «foto allegre, non foto artistiche». A completare la testimonianza iconografica sugli anni Settanta, ci sono le immagini di altri grandi artisti, con i quali Cesare Monti lavorò, corredate dai ricordi scritti del fotografo. Ecco un Bruno Lauzi indeciso tra pessimismo e voglia di vivere.
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