Una macchia contro l’accademia

Queste tele raccontano una realtà domestica e attuale

Rinverdire la pratica del «macchiare» (come dice Vasari) di Tiziano, rendendola non più una fase intermedia dell’opera ma la forma definitiva, piegandola a raccontare una realtà naturale domestica e attuale, è quello che vollero gli artisti che oggi definiamo «macchiaioli». La mostra in corso al Chiostro del Bramante fino al 3 febbraio illustra le varie declinazioni dell’arte dei pittori che si trovarono riuniti, nel 1855 e per tutto il decennio successivo, al Caffè Michelangelo di Firenze per discutere tra loro, confrontarsi con altre tradizioni regionali, con la Francia di Courbet e dei paesaggisti di Barbizon. In effetti non tutti erano toscani nel gruppo: artisti napoletani come i fratelli Palizzi, Saverio Altamura, Domenico Morelli, un veneziano (Zandomeneghi), il romano Nino Costa e molti piemontesi ne hanno fatto parte. Al rinnovato entusiasmo per la pittura di paesaggio, genere minore, si affiancò la curiosità per la tecnica francese del ton-gris, che enfatizzava i rapporti chiaroscurali, consistente nel fondo scuro e nell’uso di pochi altri colori, bruni e neri in prevalenza, ottenuti a volte con l’ausilio di uno specchio nero. Se il ton-gris fu uno dei punti di partenza è vero che la macchia macchiaiola non volle affatto risolversi in cupezze, quanto piuttosto procedere dal colore, usato in contrapposizione al disegno accurato di tradizione fiorentina, come elemento di rottura con l’accademia. In questa direzione la riscoperta di colori e luci della pittura veneta del ’500 fu fondamentale per la verità catturata e immortalata dalla macchia; contributo del napoletano Domenico Morelli, figura di spicco del movimento, e della sua rinnovata arte storico-religiosa. I colti membri della «sana scuola realista» trovarono in Diego Martelli il critico appassionato che in quel modo li definisce nei suoi scritti e un mecenate, un ospite generoso che apriva loro costantemente le porte della villa di Castiglioncello. Nel percorso espositivo si susseguono le diverse fasi della storia del gruppo, così intrecciata alle vicende politiche e sociali e a una percezione mutevole del territorio, scandita da influenze varie - dalle nature morte o interni di sapore fiammingo a ricordi del Beato Angelico - attraverso le tele di Lega, Signorini, Sernesi, Cabianca, D’Ancona, Borrani, Abbati, Banti, Cecioni, Zandomeneghi, Fattori.

Esse si confrontano con quelle della cosiddetta seconda generazione, quando la tensione etica si indebolisce e il tono si fa narrativo. La conclusione è affidata alle prove ormai individuali, di Lega, Signorini e Fattori.

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