da Milano
Se sei malato, esci e divertiti. Metti un maglione e occhio ai colpi di freddo, ma datti al bricolage, agli hobby e fa pure un minimo di sport. Senza esagerare, limportante è «non pregiudicare la guarigione» e godersi la «libera espressione dei diritti della persona». Al lavoro no, però. Se sei malato, al lavoro è meglio - no, è legittimo - che non ci vai. Spiegalo alla casa di cura privata. Sette anni fa, licenzia una dipendente andata a cantare in Rai (a Roma) nonostante le coliche le impedissero di presentarsi in reparto (a Milano). E sette anni dopo, la dottoressa è reintegrata dalla Cassazione, perché «la tv non ne aveva aggravato la malattia».
Così Simona, medico della clinica «Città di Milano», riconquista il posto. Tre gradi di giudizio le riconoscono la ragione, e fissano un principio: il lavoro stanca, lo svago no. La sua passione, la lirica, nel 2001 la porta a Saxa Rubra. «Affari tuoi», Rai 1, prima serata. Esibizione da ricordare, e la ricorda pure la sua direzione sanitaria, a cui aveva presentato un certificato medico che la dispensava dal lavoro. Il 12 giugno è licenziata. Ed è causa.
Il primo grado da ragione allazienda, sentenza ribaltata nel 2005 dalla corte dAppello di Milano. Questa volta, è la «Città di Milano» a fare ricorso. Perché - è la tesi - andare da Milano a Roma aveva peggiorato le condizioni di salute della donna. Quindi, il licenziamento era legittimo. Non per la suprema Corte.
Così, il 27 febbraio scorso stabilisce che «in ordine ad attività lavorative e non lavorative (amatoriali, hobbistiche e persino sportive), il carattere amatoriale di una prestazione da parte di una persona avvezza a cantare anche in teatro, è espressione dei diritti della persona».
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