«È ora di finirla di considerare gli animali come delle cose. Sbattuti da un canile all'altro come pacchi postali. Molti vengono stipati in luride gabbie in strutture sovraffollate. Nei casi più disperati, la promozione delle adozioni è una vera utopia. È un'atroce condanna all'ergastolo». Francesca Martini, sottosegretario al Welfare con delega alla Salute, non fa mistero della sua indignazione. È proprio lei l'autrice di una storica ordinanza, entrata in vigore in questi giorni, che pone fine al business dei randagi e riempie un vuoto normativo nel nostro Paese. L'inferno per tanti dei nostri amici a quattro zampe finalmente trova una via d'uscita.
NO A GARE D'APPALTO AL RIBASSO
Il provvedimento ha già raccolto il plauso unanime delle associazioni animaliste come Lav, Enpa, Oipa e tante altre, nonché dell'associazione nazionale dei medici veterinari. In particolare, l'ordinanza «Tutela e benessere degli animali d'affezione» blocca la possibilità di trasferimento e gestione dei cani con regolare gara d'appalto a strutture incompatibili con il benessere degli animali. «Devono essere considerati esseri senzienti», ribadisce il sottosegretario leghista Martini, «ci vogliono regole chiare e certe che garantiscano standard di qualità a tutela dei nostri amici a quattro zampe. Fino a oggi ci sono state delle situazioni davvero indecenti». Poi aggiunge: «E il sindaco del Comune resta responsabile dei cani prelevati sul proprio territorio e collocati in strutture fuori dalla sua città». Aumentano dunque le responsabilità dei Comuni: saranno tenuti a prevedere principi di prelazione a favore di canili e rifugi che garantiscano maggiore tutela del benessere degli animali.
NUMERO CHIUSO
Strutture che dovranno essere il più vicino possibile al luogo di rinvenimento dei cani. «Mi riferisco a gare d'appalto vinte a mille chilometri di distanza», continua il sottosegretario, «è una follia, proprio perché non c'è mai stata questa attenzione». Sempre secondo l'ordinanza, non si potranno ospitare più di 200 animali, si dovrà garantire l'apertura al pubblico almeno tre giorni a settimana, dei quali uno festivo o prefestivo, per almeno quattro ore al giorno e si dovrà promuovere l'adozione degli sfortunati quattro zampe. Nel canile dovrà operare anche un libero professionista come responsabile sanitario. «Inoltre i Comuni - spiega ancora Francesca Martini - dovranno assicurare la microchippatura dei cani e la contestuale iscrizione all'anagrafe canina, nonché la sterilizzazione entro sessanta giorni». Insomma, una vera rivoluzione che certo contrasterà il business dei canili lager. Capita infatti che un povero cane, magari nato in un allevamento dell'Est Europa, arrivato illecitamente in Italia, malato, dopo aver patito chissà quante sofferenze, venga acquistato, poi abbandonato per strada e rinchiuso in un canile lager. E c'è chi ha il coraggio di considerarlo una fonte di guadagno. Dopo il danno, dunque, la beffa.
GIRO D'AFFARI
I numeri parlano chiaro. Secondo il Rapporto Zoomafia 2009 della Lav, sull'abbandono degli animali si è innestato un giro di affari stimato intorno ai 500 milioni di euro. Come spiega Ciro Troiano, della Lav: «Alcuni privati hanno costruito la loro fortuna grazie a convenzioni milionarie con amministrazioni locali compiacenti, spesso aggiudicate con gare d'appalto al ribasso d'asta, alle quali corrispondono strutture fatiscenti, veri e propri lager dove è impedito l'accesso a chiunque e da dove i cani non usciranno mai».
Ben 2,5 milioni di euro è la stima delle possibili «entrate» annue, tramite le convenzioni, di un canile con 1.000 cani e diaria di 7 euro a quattro zampe. Agghiacciante. Sempre secondo il Rapporto della Lav, il primato delle regioni che ospitano animali nei canili spetta alla Campania, con 32.126 quattro zampe, seguono Puglia 22.729, Lazio 13.628, Calabria 10.377 e Sicilia 10.338.
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