da Roma
Otto donne e un regista. Archiviato il progetto sul sequestro Sgrena, Fuoco amico, e incassato il trionfo della serie tv Il capo dei capi, il cinquantenne padovano Enzo Monteleone torna al cinema con una storia tutta al femminile. Si chiama Due partite, come il fortunato spettacolo teatrale, scritto e messo in scena da Cristina Comencini nel 2006, da cui sarà tratto. Una bella scommessa per un cineasta specializzato in avventure squisitamente maschili, da Ormai è fatta a El Alamein. In Francia ci provò François Ozon con 8 donne e un mistero, film corale su tinte noir costruito sulle più carismatiche attrici francesi, dalla Ardant alla Deneuve, dalla Béart alla Huppert.
Riecco, dunque, Margherita Buy, Isabella Ferrari, Marina Massironi e Valeria Milillo, con la differenza, rispetto alla versione teatrale, che al cinema, per ovvie ragioni, madri e figlie non avranno le stesse facce. Otto donne, otto attrici, appunto. Prodotto da Cattleya con Raicinema, Due partite costerà attorno ai 4 milioni di euro. Primo ciak a giugno, nel cast il quartetto originario più Paola Cortellesi e Carolina Crescentini. Mancano due tasselli cruciali, anche per esigenze di somiglianza, ma si parla di Claudia Pandolfi e Ambra Angiolini per due delle figlie. Con una variazione curiosa riguardante la Milillo: da madre diventerà figlia della Cortellesi. Nicchia Monteleone, alle prese con provini e pre-produzione: «Voglio il meglio del meglio, ma è ancora presto per parlarne, davvero. Di sicuro il cast sarà accurato e professionale. Ho accettato la proposta perché mi sembrava bello, interessante, lavorare sul doppio binario del testo teatrale e della performance attoriale».
Chi ha visto lo spettacolo ricorderà che Due partite è una riflessione, a tratti ulcerata, ma pure spassosa, sull'essere donna e madre, ieri come oggi. Tra fitte e contrazioni, isterismi e frustrazioni, la fisiologia femminile svolge un ruolo chiave in questo doppio poker di donne dove si teorizza la natura primitiva, quasi bestiale, della condizione puerperale. Più simile allo «sgravare» contadino che al «partorire» umano, nonostante il milieu squisitamente borghese.
A parte qualche scorcio in esterni, il film non farà prendere troppa aria alla commedia, rispettandone il sapore da camera, all'insegna di una la chiacchiera intelligente, da esplosione fredda, che cela il vuoto esistenziale, con una citazione esplicita da Ti ho sposato per allegria di Natalia Ginzburg. Naturalmente il titolo corrisponde alla struttura quasi speculare della vicenda, che a teatro si srotolava interamente nello stesso tinello, prima tirato a lucido e vissuto come un tempio (anni Sessanta); poi in disarmo, coperto da lenzuola (oggi). Sullo schermo, con qualche ritocco rispetto alla versione scenica, vedremo quattro donne sopra i trenta che ogni giovedì si ritrovano per giocare svogliatamente a carte. Nella stanza accanto le figlie piccole ritagliano le foto del matrimonio di Grace di Monaco. Loro, invece, si misurano con le crepe dei rispettivi matrimoni. Sofia (Cortellesi) è inquieta e passionale, dice «scopare» e cornifica volentieri il marito. Claudia (Massironi) è remissiva e pudica, già rassegnata al tradimento. Gabriella (Buy) è spigliata e brillante, facile alla battuta che maschera il risentimento per non aver potuto assecondare il talento pianistico. Beatrice (Ferrari) ha un pancione di nove mesi, vede rosa e si esalta leggendo le poesie di Rilke, ma la depressione sembra lambirla. Sono casalinghe già un po' disperate, donne con le gonne, murate vive in una condizione umana - nessuna di esse lavora - che le preserva e divora allo stesso tempo. Quattro decenni dopo le figlie indossano pantaloni neri, tacchi alti, sfoderano acconciature aggressive, appaiono ben inserite nel mondo delle professioni (una fa l'avvocato, un'altra il medico...). Sono lì per un funerale legato al suicidio di una delle madri, e non ci vuole molto a capire chi non ha retto alla pressione della vita. Squillano i cellulari, muta il lessico (familiare): ma in fondo gli argomenti sono gli stessi, sia pure in una chiave rovesciata. Ora tutte vorrebbero avere un figlio...
Spiega il produttore Riccardo Tozzi, titolare di Cattleya: «In tutti i Paesi in cui il cinema è vivo, il teatro e la letteratura sono vitali, si scrivono nuovi testi, gli attori di cinema e di teatro frequentano alternativamente il palcoscenico e il set». Da noi invece capita di rado, ma chissà che Due partite-film, nella prospettiva di intrecciare i tre linguaggi espressivi in una chiave popolare, anche divistica, confidando sulla notorietà delle attrici in campo, non apra una strada nuova. Il testo, peraltro, si presta alla trasposizione per il grande schermo: l'affondo ironico è in bilico tra impazienza cattivista e birignao romanticista, si ride sui temi dell'amore coniugale. Ma resta il fatto che i nostri cineasti, con l'eccezione di Nanni Moretti, Mario Martone, Marco Tullio Giordana e Paolo Sorrentino, vanno poco a teatro, preferendo rinchiudersi in una visione totalizzante, da cinema-cinema.
«Non se ne esce», sbuffava spesso Margherita Buy in scena. Locuzione un po' desueta, squisitamente borghese, che però sembra riassumere la domanda di fondo posta anche dal film: sono più felici e realizzate le donne di oggi o quelle di quarant'anni fa? Vai a saperlo.
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