"Meglio la polvere che i business rischiosi"

I sovrintendenti rispondono all’accusa di chiudere le opere d’arte nei musei senza sfruttarne il potenziale economico Bonomi: "I Bronzi sono troppo importanti per la città". Vodret: "I prestiti spesso alimentano solo eventi mediatici"

"Meglio la polvere che i business rischiosi"

«Meglio la polvere» sembrano pensare a volte alcuni sovrintendenti ai Beni culturali, forse perché, in un certo immaginario popolare, l’accumulo di polvere nobilita misteriosamente le opere d’arte, pur oscurandole. Ieri sul Giornale Luca Beatrice ha sollevato proprio tale questione: sono ancora troppe le opere d’arte italiane «immobili», che non viaggiano per il mondo (spesate, naturalmente, da chi ne fa richiesta), troppe quelle rinchiuse in laboratori di restauro o scantinati di musei in attesa di enigmatici percorsi espositivi che non vadano più in là dei confini comunali e, infine, ancora troppe quelle tenute «sotto sequestro» da una visione eccessivamente conservatrice dei loro sovrintendenti, noncuranti che i nostri capolavori possano avere anche una funzione strategico-culturale su scala globale e persino un’elevata redditività economica.

Esempio lampante, riporta Beatrice, il caso dei Bronzi di Riace, a cui il sovrintendente della Calabria, Simonetta Bonomi, ha negato la «tournée internazionale» proposta quasi come una provocazione da Mario Resca, Direttore generale per la Valorizzazione dei Beni culturali. I Bronzi rimarranno così dove si trovano, attirando, a fine restauro, meno sguardi di quelli che potrebbero. Il museo di Reggio Calabria che esporrà le statue, alla fine, fatturerà quanto una pizzeria, mentre potrebbe «incassare» mille volte tanto organizzando per i Bronzi viaggi all’estero, seguiti da doverose permanenze in Calabria. Tutto ciò è sintomatico della faglia (culturale e generazionale) che si sta aprendo nei Beni Culturali tra «custodi» duri e puri (che spesso, però, non si trattengono dal coltivare il loro orticello di prestiti e scambi regionali di scarso valore) e «valorizzatori» propensi a una gestione più dinamica, manageriale - «irresponsabile» secondo alcuni - del nostro patrimonio artistico.

«Resca ha proposto il tour mondiale dei Bronzi - ci dice Simonetta Bonomi - e io detto di no. Le statue non stanno facendo la polvere: abbiamo messo in piedi un’esposizione sostitutiva a Palazzo Campanella, dove tutti li possono ammirare all’interno del laboratorio di restauro. Verranno poi esposti nel pieno rispetto di quel “godimento” di un’opera d’arte che la vecchia legge di tutela 1089 saggiamente raccomandava. È chiaro che la circolazione delle opere è raccomandabile, io stessa la sostengo, ma per alcune proprio no, sia perché sono troppo fragili per viaggiare sia perché hanno un significato così importante per il museo e per la comunità locale che togliendole da dove stanno, anche per poco, museo e città perderebbero moltissimo del loro peso culturale ed economico. Poi non è vero che le opere possano viaggiare senza danni. E poi non capisco: se i turisti vanno a Shanghai per vedere un museo, non possono venire a Reggio per vedere i Bronzi? L’arte italiana va valorizzata in Italia, nel mondo è già ben conosciuta e celebrata».

Rossella Vodret, sovrintendente del Polo museale romano, propone una visione diversa: «Oggi in Italia circolano più di 10mila opere. Per rimanere al Polo romano, abbiamo prestato a Porto Ercole il San Giovannino di Caravaggio della Galleria Borghese. Alla mostra del Quirinale, abbiamo dato quattro Caravaggio su ventiquattro. Non ricordo l’ultima volta che ho detto di no al prestito di un’opera. Settanta nostre opere della Galleria Borghese sono state in Giappone per sei mesi. Sa qual è stato il risultato? Il 25 per cento in più di visitatori giapponesi nei nostri musei di Roma. Ho fatto il sovrintendente in Calabria per tre anni, il problema dei Bronzi è diverso: ci sarebbe una rivolta popolare se si tentasse di toglierli da lì. Il problema generale, però, è questo: sta cambiando drasticamente il tipo di esposizione. Prima chi chiedeva un’opera proponeva un progetto scientifico forte e la collocazione all’interno di un percorso critico di spessore. Oggi le mostre sono innanzitutto mostre di se stesse, simboliche, come il caso del Caravaggio collezione Odescalchi a Milano o il San Giovannino di Leonardo arrivato a Roma dal Louvre. Folle di visitatori incredibili per quelli che sono degli eventi mediatici tout court. Ma che a ogni modo portano introiti e conseguenze positive: per questo sono favorevole a che le opere circolino, tutte quelle che possono farlo, almeno».

«È un tema molto dibattuto - ci dice Maria Vittoria Marini Clarelli, sovrintendente alla Galleria nazionale di arte moderna a Roma -: un anno fa l’amministrazione chiese a tutte le sovrintendenze quali opere fossero da considerare inamovibili, per fragilità o per importanza, e quali invece potevano viaggiare. L’intento era più quello di avere un elenco delle seconde che delle prime, che sono poche e tutte conosciute: i Bronzi, Ercole e Lica di Canova, eccetera. Far viaggiare le opere comporta dei rischi: il Louvre non presta più la Gioconda, perché se cadesse l’aereo che la trasporta, il danno sarebbe tale da snaturare per sempre il museo stesso. In Austria una legge nazionale impedisce che il Bacio di Klimt esca dai confini del Paese. Certo che l’Italia si sta aprendo: nel 1996 la durata di un prestito delle nostre opere all’estero era sei mesi, oggi 18. Ma consideriamo la reciprocità: alcuni musei esteri vogliono le nostre opere senza dare in cambio le loro, che fare in questo caso? E se una serie di musei fa richieste tali da svuotare un’intera sala di un mio museo, la svuoto? E i turisti?».

Pare comunque che siano stati fatti progressi anche nel trasporto delle opere: «Tanto che - spiega Marco Carminati, autore di Il David in carrozza. Le avventure di viaggio delle opere d’arte dagli obelischi egizi al boom delle mostre (Longanesi) - certe statue sono più sicure nelle casse dove viaggiano che nelle sale dei musei. In genere, i funzionari illuminati sono sia custodi che valorizzatori. Purtroppo i conflitti di interesse sono molti: se gli organizzatori di mostre, nuova professione nata al di fuori delle sovrintendenze, vedono i musei come dei caveau da cui prelevare materiale, qualche volta per operazioni discutibili, i sovrintendenti hanno una visione più territoriale, più cauta. Certo che sarebbe bello vedere la Gioconda a Milano, ma non accadrà.

È altrettanto bello, però, che alcune navi da crociera facciano scalo a Messina, per permettere ai viaggiatori di raggiungere Reggio e vedere i Bronzi. Rimane il fatto che la decisione di prestare o meno un’opera è eminentemente politica».

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