Mercato e individuo ecco le libertà che l’italia rifiuta

I l saggio Come ripudiare la sinistra e vivere felici di David Mamet è una ventata di aria fresca e salutare in una cultura politica, come quella italiana, che non sa più cosa sia il liberalismo e che, quando prova a definirlo, lo identifica con la teorica dei diritti piuttosto che con la difesa delle libertà. Lo scrittore nordamericano, che di mestiere fa il drammaturgo, lo sceneggiatore, il regista, ha «riscoperto» il liberalismo pur vivendo in un milieu intellettuale ad esso assai poco congeniale. La lettura di Friedrich A. Hayek, come egli stesso ricorda, è stata il suo svegliarino dal sonno dogmatico della ragione «liberal»: da allora Mamet ha ripensato la società, la politica, la storia del suo paese in un’ottica di «ritorno al reale» che gli ha consentito di ritrovare lo spirito più profondo sia dell’America che di quella società aperta che, oltreoceano, si è realizzata assai più che in ogni altra regione del globo.
Va detto subito, però, che si tratta di un’opera «inattuale» nel senso che si richiama a valori e ad analisi divenuti per noi incomprensibili. Nelle nostre scuole ormai domina, quasi incontrastato, il presupposto tribale che il capitalismo è un male e quando pur si riconosce che, comunque, il modello collettivista è miseramente fallito, si concede alla «gallina dalle uova d’oro» (come Filippo Turati chiamava il capitalismo) il permesso di continuare a covare, purché sorvegliata a vista da uno Stato «sociale» in grado di reprimerne l’«individualismo possessivo» e di far arrivare le uova sulle mense di tutti. «Politicamente scorretto», Mamet, in un periodo in cui le benedizioni del mercato appaiono come maledizioni, ci ricorda alcune verità oltremodo scomode. In primo luogo, ci dice che «non possiamo vivere senza lo scambio. Una società non può progredire né migliorare senza un eccesso di reddito disponibile. E questo eccesso può essere accumulato solo grazie alla produzione di beni e servizi che la gente considera necessari o desiderabili. Un sistema finanziario che lo consente conduce alla disuguaglianza; un sistema che non lo consente alla fame di massa». In secondo luogo, ci richiama al realismo, a sfondo pessimistico, che caratterizza la filosofia liberale classica: per Friedrich Hayek «c’è un costo per ogni cosa, non c’è nulla che non abbia un costo, e l’energia impiegata per A non può essere usata per B. Ed è questo il significato di costo: la rinuncia ad altri impieghi del denaro. Hayek scriveva che non ci sono soluzioni ma solo compromessi: il denaro speso in vigili urbani non può essere speso in libri. Entrambi sono necessari, una scelta bisogna farla e questa è la tragica realtà della vita». In terzo luogo, sulla scia di Edmund Burke, sottolinea l’importanza della tradizione per una società che voglia essere libera e tollerante: «La cultura di un Paese, una famiglia, una religione, una regione è un compendio di tutte le leggi non scritte elaborate nel tempo attraverso i preconsci adattamenti dei suoi membri - attraverso l’esperimento e l’errore. In generale è “la maniera in cui facciamo le cose qui”. È nata dalla necessità umana di “farcela”(…) quello che funziona resta, quello che non funziona viene scartato».
Basterebbero solo questi tre punti a spiegare perché il lavoro di Mamet non scalfirà le tetragone certezze dell’ideologia italiana. Misurare la validità di un progetto sociale sulla base delle sue conseguenze -l’etica della responsabilità di Max Weber- è un esercizio al quale siamo disabituati. I nostri «intellettuali», che hanno trovato in John Rawls la stella polare del liberalismo moderno, si chiedono, per citare le pagine di Mamet su Friedman, «quali decisioni debbano esser prese» non chi debba prenderle, invocano politiche welfariste di ogni tipo ma si disinteressano delle loro ricadute reali sul benessere dei popoli. Inoltre, è difficile che prestino ascolto a chi mette in luce come ogni ampliamento delle prerogative dello Stato, al fine di assicurare la giustizia sociale, si converta nel potere sempre più smisurato della classe politica. Infine troveranno indigesta la demistificazione dei tanti «nobili ideali» che sono il vanto del nostro tempo: dal multiculturalismo al femminismo, dall’antirazzismo all’antimercatismo.

Folgorante, tra l’altro, quanto Mamet scrive su un tema che ha indignato, nei giorni scorsi, i (pretesi) difensori della «civiltà del diritto»: «approviamo leggi sull’odio razziale come se essere picchiati a morte diventi più gradevole se in più non si è insultati». Decisamente scorretto e inattuale!

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