Mettere il brand sul territorio Quando ci provò la Toscana

I comuni del Chianti proposero il vincolo sulle foto ai paesaggi Ma non riuscirono a farlo valere

L’Egitto cerca di porre il copyright sulle piramidi, e di far passare l’equazione: ogni riproduzione della sfinge venduta in giro per il globo uguale un po’ di soldi al Cairo. Tralasciando commenti sulla fattibilità del progetto legislativo egiziano, risulta facile farsi coinvolgere dalla domanda: «Come dovrebbe comportarsi allora l’Italia, Paese che consta di centinaia di siti e beni architettonici degni in egual modo di protezione?». In effetti a livello di numeri l’Italia potrebbe a maggior ragione affidarsi a uno strumento legislativo simile per fare cassa. Basti pensare alla differenza tra il numero di siti «patrimonio dell’umanità» che l’Unesco attribuisce al nostro Paese rispetto a quelli dati all’Egitto: lo stivale esce vittorioso per 39 a 7. Se a questo aggiungiamo che da anni i capolavori italiani sono scopiazzati all’estero (basti pensare alla roma antica riprodotta nel Caesar’s Palace di Las Vegas o al Colosseo riprodotto in scala a Oban, cittadina scozzese, senza dimenticare le migliaia di torri pendenti che decorano i posacenere dei ristoranti italiani disseminati in tutto il mondo) l’idea di farsi pagare per l’utilizzo di un’immagine appare estremamente allettante.
Risulta ben difficile però credere che si riesca a proteggere per legge l’unicità architettonica e artistica di capolavori come la fontana di Trevi, quando l’Italia non riesce a proteggere efficacemente prodotti come il Parmigiano (sfigurato in Parmesan cheese all’estero).
Qualche tentativo è stato però fatto: verso la fine degli anni novanta un insieme di sindaci dell’entroterra toscano avanzò al governo la proposta di sottoporre a «vincolo paesaggistico del testo unico dei beni culturali le dolce colline del Chianti - spiega Andrea Sirotti Gaudenzi, avvocato esperto di proprietà intellettuale -. Proposta ovviamente bocciata.

Un vincolo del genere presuppone uno stretto controllo da parte dello Stato sull’area protetta. Bisognerebbe quasi controllare turista per turista chi fotografa cosa, e obbligarli a cancellare le fotografie del paesaggio. Assurdo».

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