La leadership di una città (city leadership) può essere definita come l'attività con cui le città e i loro principali attori attivano una funzione di guida e mobilitazione di altri attori (i cosiddetti followers, possono essere cittadini, organizzazioni di ogni tipo ma anche altri centri) rispetto al perseguimento di obiettivi generali. Ci possono essere esempi di buona o cattiva leadership, ma tutte le città e gli attori sono leader o followers a seconda delle situazioni. Alcuni esempi: Milano ha da sempre una leadership economica sul resto d'Italia, ma può essere vista come follower di altre città europee, come Londra e Berlino.
In particolare si distinguono tre tipi di city leadership: politica, manageriale e civica. Stefano Parisi e Giuseppe Sala hanno tutte e due concentrato la loro narrativa sulla dimensione manageriale della city leadership, parlando di temi come la riduzione dei costi e l'efficientamento del Comune, la gestione di servizi pubblici migliori, l'introduzione di nuove tecnologie (tutto il dibattito su Milano smart city) e di nuove forme di organizzazione sociale (ad esempio il co-working). Una narrativa manageriale ben interpretata. A chiunque diventerà sindaco è richiesto pero' un passo in più che si può spiegare con le altre due dimensioni della city leadership: politica e civica.
La leadership politica di Milano consisterà nella capacità di competere e/o collaborare con le altre città europee e del mondo. Questo tema è stato quasi del tutto assente dal dibattito. Eppure il futuro sindaco dovrà essere un leader politico nella governance informale e globale che esiste tra le città più importanti del mondo. Come si vuole posizionare Milano in queste reti globali? Ad esempio, come Milano vuole provare a vincere la competizione con Londra e in che ambiti?
Veniamo ora alla dimensione civica della city leadership. Qui la metafora è un'altra: Quarto Oggiaro come emblema delle periferie milanesi. Non si può parlare di leadership civica se non si pensa a cosa si percepisce a Quarto Oggiaro e altre zone, come ad esempio viale Padova, dove, più che di dibattiti sulla smart city, si parla della paura di camminare nelle strade, della fatica di arrivare a fine mese e del disorientamento nel vedere pezzi di città fuori dal controllo delle istituzioni. Anche su questi temi poche risposte concrete nel dibattito tra Parisi e Sala se non con riferimenti generici alle periferie. Eppure c'è una distanza abissale tra il bosco verticale e alcune case popolari della Barona; è questa la città policentrica di cui qualcuno parla? Come il futuro sindaco intende salvaguardare le periferie evitando che Milano segua altre città mondiali dove in pochi chilometri quadrati si passa da grattacieli lussuosi a favelas? Perché la crisi sociale morde, anche a Milano, e nonostante la smart city e il co-working. Messaggio finale: il futuro sindaco di Milano dovrà avere in agenda ogni giorno la competizione con Londra e le altre principali città europee, ma anche il disagio sociale di Quarto Oggiaro e delle altre periferie. Coniugare questi due livelli di senso in una coerente e moderna attività amministrativa appare dunque la vera sfida da cui dipenderà la capacità di leadership di Milano nel suo insieme. Per vincere questa sfida, pure due ottimi manager devono capire che la vera partita si giocherà sul terreno politico e civico, più che su quello manageriale.
Alessandro Sancino
Docente universitario
Open University Business School
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