I devastatori del Blocco nero rimangono dei fantasmi

Hanno partecipato ai disordini di piazza, ma non sono devastatori. Una guerriglia urbana che il Primo Maggio 2015 mise a ferro e fuoco il centro e che ancora una volta i giudici dichiarano essere stata opera del «Blocco nero». Trecento persone incappucciate di cui - salvo colpi di scena - non conosceremo mai l'identità. Le motivazioni della sentenza con cui lo scorso 24 marzo la Corte d'appello ha fatto cadere anche per l'ultimo degli imputati (Andrea Casieri) l'accusa di devastazione chiudono un altro capitolo della storia penale dei No Expo.

I giudici, presieduti da Guido Piffer, hanno deciso pene tra gli otto mesi e i due anni e quattro mesi per i reati di resistenza e travisamento. Gli altri imputati sono Alessio Dall'Acqua, Edoardo Algardi e Nicolò Ripani. I quattro sono difesi dagli avvocati Eugenio Losco, Mauro Straini, Niccolò Vecchioni e Giuseppe Pelazza. La Corte spiega appunto che i No Expo a processo non sono colpevoli di devastazione. Un reato di gruppo che produce «rovina e distruzione». Ma soprattutto «un'offesa e un pericolo concreti dell'ordine pubblico» e una «minaccia alla sicurezza della vita associata». Da qui la pesante pena prevista da otto a 15 anni di carcere. Sugli imputati: «La mera partecipazione ai disordini di piazza o la diretta responsabilità per singoli eventi» non sono direttamente collegabili «con i fatti di devastazione nel loro complesso». Le loro condotte, seppur sanzionate, non avrebbero agevolato «l'azione devastatrice che i componenti del Blocco nero realizzeranno successivamente e in luoghi diversi». E l'«attività di resistenza violenta» di Casieri, Ripani e Algardi non avrebbe rafforzato la «ferma volontà di portare la devastazione» dei 300.

Nella prima fase del corteo, in cui sono stati ripresi i tre anarchici, sarebbe stata messa in atto «una contenuta attività distruttiva». Solo dopo, l'inferno di largo D'Ancona. A quanto appreso, la Procura generale non intenderebbe appellarsi alla sentenza.

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