La città dei libri non è solo quella che li produce ma la culla dei letterati. Di talenti, Milano ne ha allevati tanti. Alcuni erano figli suoi, altri li ha «adottati», un po' com'è nei suoi cromosomi. In una parola che oggi genera equivoci ma rende più di tutte l'anima e la generosità della metropoli. Accoglienza. Le braccia si sono aperte per Henri Beyle, più noto come Stendhal, che sulla sua tomba a Montmartre volle scritto «milanese», rivendicando una nazionalità che fa a pugni con l'arroganza parigina. Ernest Hemingway, catapultato sotto la Madonnina come ferito della Grande Guerra, vi trovò un amore impossibile e un lavoro come soccorritore alla Croce Rossa. Ma mai dimenticò. «Senza Milano non sarei stato l'uomo e lo scrittore che sono» ripeté. E la città sarebbe entrata nel destino pure dei suoi discendenti. Il nipotino John, figlio di Gregory, il terzogenito che si fece operare e divenne donna con il nome di Gloria, in città ha scritto. Vissuto. Insegnato. E di tanto in tanto ci torna.
All'ombra del Duomo riparò anche Foscolo. Deluso dal trattato di Campoformio nel 1797, quando vide Venezia passare agli Asburgo, traslocò. Frequentò Vincenzo Monti, al quale lo legava la comunanza della sorte. Anch'egli fu «esule» dopo gli avvenimenti di quei giorni ed entrambi strinsero amicizia con l'abate Giuseppe Parini «precettor d'amabil rito» per l'ipocrita aristocrazia lombarda con il sarcastico poemetto Il giorno. A Milano, il Foscolo fece amicizia con Carlo Porta che una morte precoce si portò via ancor giovane, non prima di aver regalato alla letteratura dialettale figure epiche come Gioannin Bongee, la Ninetta del Verzee, «on collaron del Domm» e via elencando.
I padri nobili della milanesità - Alessandro Manzoni e il nonno Cesare Beccaria - regalano altro prestigio a un quadro di cultura raffinata e innovativa. L'autore Dei delitti e delle pene ricostruì la giurisprudenza. Fu una rivoluzione alla quale fin troppo di rado si pensa. E ancor meno si legge un testo, sorprendentemente ancora attuale. Di don Lisander non c'è aspetto non svelato, perfino quella caduta sui gradini di San Fedele che avrebbe accelerato i suoi ultimi giorni.
I miti della poesia novecentesca - Giuseppe Ungaretti e Eugenio Montale - scrissero, lavorarono e morirono in città. A dire addio al poeta ligure che vinse il Nobel fu una Milano che si raccolse in Duomo, davanti a quella salma illustre benedetta da cardinal Martini. E chi vi insegnò ma non vi morì, come Salvatore Quasimodo, ora riposa al Monumentale.
Giganti di una cultura scomparsa. E protagonisti.
Oltre che della storia letteraria anche del nono capitolo di Giants in Milan che Pino Farinotti, scrittore e storico del cinema, ha dedicato ai figli illustri della Milano che scrive, facendo parlare il Papa e Alberoni. Il presidente di Studi manzoniani Angelo Stella e Giulio Sapelli. Stasera alle 19 il battesimo all'Oberdan.
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