Jazz e blues in corsia accendono la speranza

Parte lunedì «Note su un tetto che scotta» concerti all'ultimo piano dell'Istituto dei tumori

Luca Fazzo

A Paolo Colonnello, giornalista della Stampa, che all'Istituto dei tumori c'era entrato con un sarcoma raro e cattivo, l'idea venne un pomeriggio: «Stavo gironzolando per i corridoi portandomi dietro la mia flebo quando incontro un volontario che mi dice: dai, vieni, nella sala facciamo una bella tombolata. Lì ho pensato: eh no, anche la tombolata no! E mi sono detto che ci voleva qualcosa di più».

Nasce così l'idea un po' visionaria di portare con la musica («e insieme alla musica la normalità», dice Paolo) in un luogo di sofferenza: forse, di tutta Milano, il luogo emblematico della sofferenza. L'Istituto dei tumori di via Venezian, «che prima quando ci passavo davanti toccavo ferro, e adesso per me è un luogo amico». E ora il progetto ha preso forma: «Note su un tetto che scotta», concerti di musica varia sul tetto dell'Istituto, dal 6 al 30 giugno, concerti che con l'eterno sistema del passaparola, nobilitato dalla buona causa, hanno radunato nel programma nomi importanti della scena jazz, blues e rock milanese, ma anche della classica, cui sarà affidata la serata inaugurale.

Dal grande terrazzo al nono piano, dove l'accesso sarà libero - ma con ovvia precedenza a malati, medici e infermieri - le note si spargeranno per le corsie e le stanze dove si lotta per sopravvivere. Come la prenderanno, i malati? «Io sono stato a lungo lì dentro - risponde Colonnello - e so come ci si sente. Certo, c'è chi è così debole che non riesce ad alzarsi dal letto. Ma per gli altri, che devono riempire la giornata tra una terapia e l'altra, uno dei nemici da battere è la sensazione di essere tagliato fuori dal mondo, dalla vita di tutti i giorni. C'è bisogno di sentirsi normali. E cosa c'è, infondo, di più normale della musica?». Una normalità di cui, racconta chi vive nell'Istituto, hanno bisogno disperatamente non solo i malati ma anche i familiari che insieme a loro vivono la quotidiana sensazione di straniamento.

La scelta di aprire i concerti alla città è una scelta coraggiosa, perché chi verrebbe all'ora dell'happy hour tra i malati di cancro? Ma anche questa sfida serve ad abbattere il muro della separazione. E, tema non secondario, serve anche a dare visibilità all'Istituto dei tumori nell'agone affollato del cinque per mille, elemento cruciale di sopravvivenza per la ricerca, dove una eccellenza pubblica come via Venezian («per me è la seconda Scala di Milano!», sempre Colonnello) subisce la concorrenza preponderante della sanità privata.

Ad accompagnare il giornalista-paziente nel suo progetto, sono

stati il presidente Enzo Lucchini e il direttore generale Luigi Caiazzo: convinti anche loro, come dice Caiazzo, che l'«arte, in tutte le sue forme, può essere una medicina viva, benefica per il corpo oltre che per l'anima».

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