In ospedale scatta l'allarme: l'infermiere non sa l'italiano

In ospedale scatta l'allarme: l'infermiere non sa l'italiano

«Scusi, avevo chiesto una dieta semiliquida. Vede, non posso masticare. Se per caso ha del formaggio fresco per oggi va bene così». L'inserviente del carrello dei pasti caldi sembra aver capito, annuisce. Ma il giorno dopo la scena si ripete: pollo e maccheroni serviti all'anziana della stanza 12 che non può masticare. Lei nel frattempo si è fatta portare del certosino e della frutta omogenizzata da casa. Ci ha pensato il figlio. Capita anche questo in corsia.
E ci sono equivoci non solo sul menù di pranzo e cena ma anche sui farmaci da prendere. Il motivo? Troppi operatori stranieri che non parlano italiano. O meglio, che spiccicano due parole in croce ma che non arrivano a tradurre parole come «dieta semiliquida» o «pasto senza scorie». Dal privato al pubblico, cresce il numero dei portantini e degli operatori socio sanitari provenienti dai paesi dell'Est. Non sono infermieri, ma sono quelli che li affiancano e che spesso vengono scambiati per tali.
«Arrivano nei parcheggi degli ospedali con i pullman, vengono scaricati lì e non sanno nemmeno dove si trovano» racconta un medico. Sono gli stranieri arruolati dalle cooperative, quelli che «tappano i buchi» del personale in corsia e non hanno in mano nessun attestato di lingua italiana. Una croce per la federazione che rappresenta i collegi degli infermieri professionisti. «In percentuale - spiega Beatrice Mazzoleni, presidente Ipasvi Lombardia - gli operatori non iscritti al nostro ordine sono molto pochi, ma capita che ce ne siano. Tuttavia di solito le aziende ospedaliere fanno accordi con noi e assumono gli infermieri con il certificato dell'ordine». Salvo eccezioni ed emergenze. Ad esempio in estate. Per i tecnici e gli assistenti sanitari non esiste un ordine di riferimento e quindi la professionalità lascia spesso a desiderare. Avere il certificato dell'ordine significa aver superato una prova scritta e orale di italiano. «La normativa - fa notare la Mazzoleni - non richiede un livello di conoscenza della lingua paragonabile a quello richiesto negli altri paesi europei. Ma in ogni caso c'è un esame con una commissione». Gli altri arrivano con in tasca un italiano che dà origine e fraintendimenti ed errori. Le lamentele da parte dei pazienti non mancano.
Il fenomeno degli infermieri stranieri (quelli che però un esame d'italiano lo hanno fatto) è in netto aumento. In base ai dati in mano all'Ipasvi ad oggi ci sono circa 5mila professionisti stranieri su un totale di 60mila iscritti agli albi regionali della Lombardia. Circa due anni fa la percentuale si attestava sul 6%. Fino a qualche anno fa gli infermieri provenivano soprattutto dal Sud America, ora dall'Europa dell'Est.


Per verificare la preparazione degli infermieri, il primo controllo «viene effettuato dal ministero della Salute - spiegano all'Ipasvi - che accoglie le richieste dei colleghi stranieri di riconoscimento del titolo di studio. Dopo aver appurato che il percorso formativo è equiparabile a quello italiano, viene rilasciato il decreto di riconoscimento del titolo con i quale il collega dovrà recarsi al collegio Ipasvi».

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