Con il Pianeta rosso guerre infinite di fantasia

Dalla burla radio di Orson Welles ai film anni Cinquanta. E le canzoni di David Bowie

Stefano Giani

C'erano una volta i marziani. Abitavano nel pianeta della fantascienza, piazzato là, nel bel mezzo di una galassia cinematografica che rifletteva la leggenda. Conclamata ma infondata. Lassù c'è vita. Erano alieni bellicosi come suggeriva il dio della guerra che a quel corpo celeste dava il nome. Sogni di timore e timore di sogni. Eppure a morire erano loro, gli indistruttibili extraterrestri. Almeno nell'immaginazione degli anni Cinquanta, quando sul grande schermo arrivò Volo su Marte (1951) di Lesley Selander tra i primi a sfruttare il fascino di quel mondo lontano. Il gruppo di scienziati che vi approdò, trovò una civiltà sul punto di estinguersi. E nemmeno tanto evoluta, se erano poco avvezzi a riparare il razzo danneggiato dei terrestri. La verità era che i marziani volevano impossessarsi dei segreti di quell'astronave per fuggire da un pianeta in crisi e rifugiarsi quaggiù. I nuovi venuti se ne erano accorti e ne nacque un gioco di spionaggio che finì in gloria. Tutti a casa felici con tanto di marziana al seguito, innamorata di uno degli astronauti. Stessa falsariga nel '59 con Marte distruggerà la terra di Ib Melchior, un trash di culto che descriveva una languente civiltà desiderosa di trasferirsi lontano da quel luogo in crisi irreversibile.

Nel '53 Byron Haskin immaginò questa catastrofe in uno dei capolavori del genere. La guerra dei mondi, tratto da un romanzo di Herbert George Wells pubblicato nel 1897, poi rivisitato nel 2005 anche da Steven Spielberg, ipotizzava il titanico scontro fra umani e umanoidi con i primi a soccombere sotto i colpi della violenza aliena. La salvezza venne sorprendentemente dai batteri. L'infinitesimamente piccolo sconfisse i coriacei rivali, poco resistenti a quei microrganismi con cui gli uomini invece convivevano. E la terra fu salva. Miracolo biologico. E zucchero per i pacifisti. La guerra era vinta da chi non era armato. Messaggio lontanissimo da quello radiotrasmesso da un allora ventitreenne Orson Welles che, alla radio americana Cbs, il 30 ottobre 1938 inventò lo sbarco alieno prendendo spunto dal mitico Wells. Alle 20, interrompendo un programma musicale annunciò l'attacco e fra gli americani si diffuse il panico. Ci fu chi telefonò chiedendo a che ora era prevista la fine del mondo e chi reagì con scorza durissima e ironia beffarda, tanto che quando i giapponesi - tre anni dopo - irruppero a Pearl Harbour più di uno pensò a uno scherzo di pessimo gusto, memore della burla di Orson Welles.

Un gioco, o meglio un intrigo era invece quello costruito in Capricorn one (1978) di Peter Hyams, thriller ispirato a una cospirazione governativa ordita su una missione spaziale che doveva prevedere uno sbarco su Marte. La finzione alludeva alla teoria del complotto lunare della missione Apollo che a metà anni Settanta prese piede in America, convincendo solo il 6% dei cittadini. Sparì quando la Nasa si rifiutò di pubblicare un libro per smentire le teorie di Bill Kaysing, avallandone con ciò la credibilità. E del prof si persero le tracce nell'universo della dietrologia fantasma.

Dubbi e fantasie erano dure a morire. David Bowie in Life on Mars? si chiedeva se ci fosse vita. Era il 1973. L'hit scalò le classifiche e il Duca bianco, affascinato dalla fantascienza, replicò con Space oddity.

Oggi anche il cinema ha più certezze, ma ciò non ha impedito a Matt Damon di perdersi con Ridley Scott nei pressi del cratere Schiaparelli. Sopravvissuto ha incassato oltre 630 milioni di dollari. Ma nessuno si è accorto che il titolo italiano, in una sola parola, rivelava il finale.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica